venerdì 30 maggio 2008

La ricotta salata


Nta tutta nta stasciunata, mio padre è stato un po’ siddiateddu picchì cristianu granni e sofferenti, ha nisciutu nto piccaredda, un po’ pu friddu, un po’pi lagnusia, un ci ha spirciatu propriu intrattenere rapporti sociali, e meno male, anzi, che in campagna abbiamo tre gatti, di cui si prende cura e che a giorni alterni sente l’obbligo morale di portargli da mangiare. Altrimenti avissi passatu un’vernu davanti al televisore. Ammatula abbiamo cercato di farlo straviari, la sua risposta è sempre stata: “accamora mi siddia”.
Finalmente nta di primi di maggiu, pa scusa di cogghiri quattru nespole vanigghia, si cunvinciu ad andare a trovare mio zio, il fratello di mia madre, nel cuore della conca d’oro. Tutti e dui cugnati, un fannu avutru chi pizzuliarisi, si sfuttuno e si criticanu a vicenda.
Mio padre dal canto suo, avendo avuto la fortuna di accapitare un pusticeddu ‘mpalermu, avendo preso la licenza media, avendo letto tutti i classici, che ahimè nto spissuliddo declama, e che, appena risolto il problema delle cataratte, progetta di leggere la Divina Commedia in forma integrale, a mio zio, cristianeddu di campagna ci parra di Virgilio o di Dante, e quannu si vidi taliatu come un extraterrestre, quasi con commiserazione ci dici: “ne’ lassamu perdiri, tu un po’ capiri!”.
Mio zio che, a mio padre, non gliene resta a dare, ci ridi nta facci e u critica per le tecniche colturali che sceglie per il suo frutteto, e ci dice sempri che se usa certi prodotti piuttosto che altri, i pruna ci vennu comu azziddiri! E cosa ancora più seria, è che pensa di mio padre che sia stato un debole, sulu sulu per aver scelto di fare studiare me e le mie sorelle, e pi giunta ‘mpalermu! Per mio zio la donna, al massimo deve imparare un mestiere che le consenta di lavorare in casa, infatti lui di me e delle mie sorelle, pur volendoci un bene dell’anima, dice che avemu a lingua longa e si putissi ni turcissi u mussu! E il bello è che fa pure la mossa!
Ma tornando al nostro pomeriggio di maggio, u ziu, inchiappatu di cilerna picchì avia finutu, allura allura, di cogghiere le nespole, appena si vitti arrivare mio padre, doppo i primi convenevoli del tipo: tu facisti zappari u terrenu? St’anno pruna n’hai? Vennu sempri i burgitani a cogghiri u fruttu? Lo talia dritto negli occhi e ci dici: a isti a pigghiari a ricotta pi salarla?
Veru! A ricotta s’avi a salari! ma senza dare soddisfazione al cognato e senza lasciare trapelare emozioni dice: l’è ghiri a pigghiari all’atra simana!
All’atra simana? Io già ma salavu, - risponde mio zio con una punta di sarcasmo e con una risatina parecchio ‘ntropita – all’atra simana capaci che già i vacchi si mettunu a manciari u fenu e a ricotta porta malu sapuri!
Mio padre, pigghiatu di puntu, talia a mia sorella, che lo aveva accompagnato fin li e le intima con tono perentorio: amunì a Sagana, a pigghiari a ricotta!
La ricotta si va prendere a Sagana perché è sansera ed è fatta ancora all’antica. Inoltre u vaccaru è un amico, e gli da la migliore in assoluto ovvero la prima che raccoglie quannu comincia ad acchianare, perché la ricotta man mano che affiora diventa sempre più ruvida. E poi parranno in cunfirenza a mio padre la regala, picchì me soru è agronomo e di tanto in tanto lo aiuta a spicciari camurrie relative alla zootecnia e alle normative che la disciplinano. E duu cristianu si disobbliga na sta manera!
Ingredienti:
Ricotta di mucca;
Sale e Sole
.
Lasciare scolare la ricotta dentro la fascedda per circa due giorni, quando è sufficientemente asciutta e compatta toglierla dal suo contenitore, cospargerla di sale, metterla ad asciugare al sole per circa tre giorni, dopo di ché infornarla a temperatura molto bassa, meno di 100 gradi per circa 6 o 7 ore, affinché finisca di asciugare.
Tolta dal forno lasciarla all’aria aperta per altri due giorni sigillarla in sacchetti di plastica e conservarla in frigo, grattugiare al momento.
Mia madre, per stendere la ricotta al sole, usa come base d’appoggio le cassette di legno della frutta che mette sottosopra e le ricopre con dei panni bianchi che sostituisce almeno due volte al giorno.
(antonella gullo)

martedì 13 maggio 2008

Processione

l'incerta processione di uomini che pregano
e di donne
non svolge il lungo filo del pentimento.
E mentre trepida e indistrutta s'avanza....
per l'occhio di chi altrove guata,
non esiste.

(ninni picone)

mercoledì 7 maggio 2008

Pappo


Sabato 5 gennaio 2002 – sesto giorno

Dopo avere fatto colazione da Mercedes prendiamo la macchina che la stessa matrona ci ha affittato. Mercedes è una signorona gioviale, bassotta, colta (fa il medico), ma è tirchia…da morire.
Somiglia molto alla sua macchina. E’ una TICO piccola piccola. Come una mini “mini minor” Inoltre ha i seguenti difettucci:
a) il vetro anteriore, lato guidatore, non si alza né si abbassa. E’ li fermo a metà.. speriamo che non piova
b) la batteria c’è, ma è scarica ed il motore si accende solo a spinta
c) le portiere ne’ si aprono né si chiudono. Insomma sono completamente sfasciate
d) le ruote ci sono tutte, sono completamente lisce
e) i freni non ci sono
Capiamo subito che siamo pazzi. Dobbiamo percorrere più di 1000 chilometri con questo coso. L’unico pregio è il canone di affitto . Solo 35 dollari al giorno.
Prima di lasciare la casa di Mercedes salutiamo Giuseppe e Vittoria che ci appare affranta e affaticata certamente per colpa di Giuseppe che la stressa
ALLE 12.30 Imbocchiamo la autopista per Camaguey non prima di avere ritirato un po’ di dollari all’Hotel Nacional.
La nostra meta è Florida una cittadina al centro dell’isola dove abitano i familiari di Jolaise.
Pranziamo in un autogrill molto dignitoso: pizza al formaggio.
La autopista è grande ma ricca di buche. Il regime non ha tempo di occuparsi di queste minchiate. Alle 3 raggiungiamo Santa Clara . la città storica della rivoluzione. Qui il Che ottenne la vittoria decisiva contro l’esercito di Batista, Ed infatti c’è un intero museo dedicato all’eroe argentino oltre che un mausoleo.
Facciamo un po’ di acquisti al centro commerciale, poi delle foto davanti al monumento dello stivale bucato, poi un’altra con lo sfondo della bandiera cubana.
Dopo tante foto ripartiamo orgogliosi, ma sbagliamo strada . Pino, che conduce il catorcio, è messo a dura prova. C’è freddo , e il finestrino non si può chiudere. Poi si chiude. E ci godiamo la campagna, affascinante, e il tramonto, poetico. Ma dopo il tramonto c’è il buio pesto e la strada si vede a malapena.
Attraversiamo Ciego de Avila dove prendiamo in piena velocità una grossa buca. Temiamo il peggio. Riteniamo, infatti che il catorcio non possa reggere allo stress.
Comunque sia alle 9 circa siamo a Florida
Case povere e basse. Strade dritte tipo far west. Comincia il giro dei parenti di Jolaise. Prima dalla zia dove troviamo, tra gli altri una bella cugina che parla italiano E’ stata sposata con uno di Bergamo e poi è scappata.
Quindi a casa sua : SHOCK! È alla periferia di Florida. In mezzo alla campagna. Un agglomerato di capannoni con muri in pietra e copertura in legno che non tocca i muri.

Cioè tra il tetto e i muri c’è uno spazio enorme da cui entra di tutto dal caldo al freddo, dalla pioggia al vento……alle belve..
Attorno alla casa un cortile con galline, maiali e cavalli. Le stanze sono grandi e “arredate “ con mobili poveri stile anni 50.
Arriva il papà di Jolaise che ride. Ride sempre. Ride troppo. Sul momento non capisce chi sia il fidanzato di sua figlia , Poi capisce che il genero è Pino. La madre invece è una bambolina paffutona che ride pure. Un po’ meno del marito. Forse perché ha la responsabilità della casa.
Qui ridono tutti, sempre. Poi conosciamo il figlio di Jolaise. Un bimbo piccolo piccolo che però dorme. E per questo non ride. Ma riderà domani al suo risveglio.
Notiamo che i genitori di Jolaise sono bianchi e Jolaise è nera. Ma che cazzo ha scoperto Mendel?
Ad un certo punto spunta uno che si chiama Pappo. Anche lui è di colore nero pallido. E anche lui ride sempre. Il padre di Jolaise dice che quello ride perché è scemo! Infatti Pappo ci chiede se in Italia ci sono molti neri. Nadia lo corregge e gli dice che i neri da noi si chiamano “di colore” sennò si offendono. Pino non vuole illudere Pappo e gli dice che no, lui non è di colore è proprio nero.
Si comincia a cenare .Un pranzo eccezionale a base di porco, riso, insalata e un specie di patata che si chiama jucca. Per bere , acqua di cannolo. Per precauzione se la beve solo Pippo.
Ora si deve dormire, ma non lì. Ci hanno prenotato una casa particular in un altro punto del villaggio.
SHOCK n 2!! È una casa poverissima.
Noi lo definiremmo un tugurio da rom. Ci comunicano pure che abbiamo lo status di clandestini. La signora dice che non è in regola con la legge degli affitti e che quindi non ci dobbiamo fare notare sennò la polizia le fa un culo così. Accanto dormono degli americani.
Nadia, per lo schifo, dorme completamente vestita. Pippo se ne fotte e si spoglia come se fosse all’Hilton. I cuscini sono neri di sporcizia. E qui neanche Pippo se la sente di rischiare la scabbia caraibica. La camera è piccola e asfissiante. In pratica è una cella di isolamento. C’è pure un bidet!! Per evitare spiacevoli e imbarazzanti comportamenti azioni Pappo ci dice che lì non possiamo fare la cacca!
Noi cerchiamo di fargli capire che non ne avevamo l’intenzione. Poi ci ricordiamo che il padre di Jolaise ci ha detto che Pappo è scemo e non lo picchiamo.
Al mattino, prestissimo, Pippo si alza e vorrebbe fare la pipì, ma presto si accorge che non c’è il bagno e allora tenta di andare a fare il bisogno fuori. Ma, sorpresa, Il cancello è chiuso e non si può uscire. …….

dal diario di viaggio "Cuba on the road"