sabato 30 gennaio 2010

3. La leggenda di Eldorado


Quando i conquistatori arrivarono nelle coste del Venezuela, videro
paesaggi ed esseri viventi che non avevano mai visto. Siccome in quei tempi non c'era la televisione e nemmeno la macchina fotografica, i racconti di quei luoghi erano riferiti per bocca. Ognuno narrava quello che aveva visto, ma anche si inventava un sacco di cose.

Gli incisori di quell'epoca facevano disegni che non avevano niente a che vedere con la realtà.
Uno dei più famosi è Theodore de Bry, un incisore tedesco che ha lasciato una infinità di incisioni. Gli indios hanno facce di europei o di dei greci, oppure sono senza testa, con corpo di animali, le indie hanno sono tettone e facce da madonne. Gli indios torturano su griglie infuocate, e questa che vedete qui è un mio disegno preso da una incisione che rappresenta la leggenda di Eldorado.

28 Gennaio 2010
Stamattina alla televisione c'era, in catena nazionale, un discorso di Chavez.
Questo è un paese , purtroppo, in questo momento, estremamente violento. I delitti sono troppi ed impuniti, e non c'è sicurezza. In questi giorni a Caracas ci sono molte manifestazioni di studenti. Chavez diceva che così non può continuare e che manderà per strada molta polizia e guardia nacional.

Perchè non manda la polizia per frenare tutti questi delitti? Questo io non lo capisco.
So solo che uscire per la strada è stressante, bisogna camminare stando sempre all'erta.
Sabato alle 6 di mattina vado, insieme ad un gruppo che si chiama Audubon e si occupa della osservazione degli uccelli, sulla montagna di Caracas che si chiama Avila ed è una specie di selva con fiumi e cascate.

Armata di binocolo, macchina fotografica e le mie scarpe nuove da trekking comprate a Castelvetrano. Sull'Avila ci sono degli uccelli meravigliosi.



(alessandra vassallo)

(18) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XVIII

Piazza Vittoria

- Ruvolo, per cortesia, Ruvolo….

Poverina, la signorina Cherubini non si muove mai dal suo posto. Un minuto solo è mancata. Maledizione alle colleghe che l’hanno convinta a scendere nell’atrio a prendere un caffè. Chi la sente ora l’Antocci? Eppure, si ripete, doveva stare in guardia, perché stamattina quando è arrivata, il questore non ha neppure detto buongiorno. E’ filata dritta nella sua stanza, porta chiusa e silenzio.

Brutto segno, e ciò nonostante si è lasciata convincere lo stesso. Non è che avesse lasciato del tutto sguarnita l’anticamera del questore. Ha detto a Ruvolo di darci un’occhiata lui caso mai squillasse il telefono o la dottoressa avesse bisogno di qualche cosa. Lei, doveva riferire Ruvolo, era andata in bagno perché si sentiva poco bene.

Sì, Ruvolo, come se non lo conoscesse quello. Chissà dove si era perso. Comunque, bisogna evitare che la dottoressa continui ad incazzarsi. E’ sicuro, se qualcuno non si assuppa la sfuriata, la cosa finisce male per tutti.

- Dottoressa, ha bisogno di qualche cosa?

- Ah lei è Cherubini! Che piacere, che onore averla con noi stamattina! Ma è possibile che in questo ufficio devo fare tutto da sola! Nessuno che faccia il suo lavoro come si deve! Mai, che quando si ha bisogno, si trovi la gente dove deve, capito Cherubini?, deve stare.

Infante, dov’è Infante? E’ tutta la mattina che lo cerco. Cercatelo, chiamatelo, ditegli che deve precipitarsi qui. Subito!

Pure Infante ci voleva! Che gli ha preso ai colleghi stamattina? Prima Ruvolo, ora Infante, tutti scomparsi…Ma, come faccio a cercarglielo? Al telefono l’ha chiamato e vuol dire che nella sua stanza non c’è. Pure al cellulare l’avrà chiamato, questo è sicuro come la morte. Come faccio? Mica posso andarlo a cercare perchè, se mi chiama un’altra volta e non mi trova…

- Ah qui sei Ruvolo? Non l’hai sentita la dottoressa? Che ti avevo chiesto? Una cortesia ti avevo chiesto. Di starci attento tu un minuto, il tempo di prendere un caffè. Veleno mi ha fatto, il caffè.

Cercagli Infante, per cortesia, subito. Digli che deve venire qui, subito!

Ruvolo ha un suo tavolino in mezzo al corridoio, disposto proprio di fronte all’ingresso dell’anticamera del questore. Così vede chi viene ed è visto dalla Cherubini, che può fargli un cenno quando ne ha bisogno.

Senza dire una parola il commesso va verso il suo tavolo e solleva la cornetta sotto gli occhi della collega

-Dottore, mi deve scusare, perché sarei venuto di persona a cercarlo, ma mi dice la signorina che la dottoressa ha assai premura di vederlo. Sicuro, certamente, riferisco. Buon giorno.

Una strega, questo era una strega. Non l’aveva chiamato Infante, ora lo sapeva. L’aveva fatto apposta per umiliarla e lei che ci cascava come una scimunita, come se non la conoscesse a quella strega. Strega!

- Infante, che cosa ti sei messo in testa?

- Antonella, non capisco.

- Non fare il finto tonto Infante, tanto lo sai che con me non funziona, vero che lo sai? In questa vostra città, dove siete tutti abbottonatissimi, alla fine tutto si viene a sapere!

- Continuo a non capire Antonella. Se mi spieghi posso chiarirti ogni cosa. Lo sai bene quanto ti sono amico, un amico devoto e fidato.

- Io di amici,qua dentro, non ne ho, Infante, e non ne voglio avere. Quelli che ho me li tengo stretti e stanno tutti da un’altra parte.

- Come vuoi Antonella, sono a tua completa disposizione! Se pensi che non ci siano più le condizioni per continuare la nostra collaborazione, basta che dici una parola e io mi tolgo di mezzo.

- Finiscila di fare la sceneggiata. Te l’ho detto che a me non la fai. E non c’è motivo di interrompere la nostra collaborazione, come dici tu. Anzi. Però, voglio che ti sia ben chiara una cosa. Te la dico ora, Infante, e non te la dico più, chiaro? Dunque, non ti sto dicendo che hai fatto male. Che credi che non lo capisco che pure tu hai le tue ambizioni? Giuste, sacrosante! Io mica ci voglio restare per tutta la vita qua dentro. E tu lo sai. Quindi, ci siamo chiariti una volta e per tutte. Non hai fatto male per quello che hai fatto. Hai sbagliato il modo di farlo, questo hai sbagliato, Infante! Vuoi sederti sulla mia poltrona? Non c’è problema! Mettiti bene in testa però che ti ci faccio sedere io, sia ben chiaro. Mi fai ridere, mi fai. Come se non lo sapessi quello che combini coi tuoi amichetti. Lo fai con me e mi sta bene. Lo fai anche con gli altri e mi starebbe pure bene. Però, voglio, anzi pretendo che prima lo concordi con me. Sono stanca, Infante, di questo ammucciarsi che avete qui. Stufa, Infante. Può essere divertente all’inizio ma poi rompe. Quindi continua pure a fare quello che fai, ma sappi che quello che hai riferito a chi sai tu l’ho deciso io. Io ho pesato le parole! Io ti ho fatto credere quello che hai pensato di avere capito con quell’intuito da leguleio da quattro soldi che ti ritrovi. Io, capito, Infante? Ma che ti dico a fare le cose! Te le scordi? Eppure, e non sai quanto me ne sono pentita dopo, mi ero pure lasciata scappare che con questa storia di Impallomeni volevo divertirmi, che volevo farli stare sulle spine. A tutti, Infante, a tutti…

- Antonella, ti assicuro, devi credermi per quanto di più sacro ho nella vita, mia moglie, i miei figli, che mai e poi mai potrei tradire la fiducia che hai nei miei riguardi.

- Basta, basta! Sei irrecuperabile, irrecuperabile. Ma quando finirà questo tormento, quando? Lo capisci che ho accettato perché non potevo tirarmi indietro? Mai avrei pensato che fosse così. Ora, però basta, Infante, quello che dovevo dirti te l’ho detto. Se ti piace continuare a fare il buffone, accomodati, ma fuori di qui. Abbiamo da fare cose serie, Infante, cose serie. Lasciamo perdere queste minchiate della fiducia, dell’orgoglio ferito.

- Come vuoi tu, Antonella.

- Guarda che ci siamo. Si chiude. E’ solo questione di qualche giorno e pure questa è fatta.

- Ti riferisci all’omicidio di Impallomeni?

- E a che cosa se no? Tu, però, mi devi fare un favore.

- Quello che vuoi Antonella.

- L’hai letto il referto di Pignatone?

- Sì che l’ho letto e mi pare che, come sempre, ti dia completa ragione.

- Che leccaculo che sei! Incorreggibile. Però, c’è qualche cosa che non quadra in quel referto, che potrebbe fare saltare la soluzione che è nei fatti e che tutti ci auguriamo venga a galla.

- Cosa devo fare Antonella?

- Guarda niente di che. Stai tranquillo. Qui le cose vanno secondo giustizia, Infante. Bisogna solo evitare che i colpevoli restino impuniti, che tutto si impantani nelle sabbie mobili dei se e dei ma. Dobbiamo assicurare la sicurezza ai cittadini, Infante, e quando non riusciamo ad evitare che i crimini vengano commessi abbiamo il sacrosanto dovere che i colpevoli paghino per quello che hanno fatto in modo da dare l’esempio. Esempi ci vogliono. Chiari ed inequivocabili.

Si vede proprio che la Cherubini, oggi, la testa non ce l’ha dove dovrebbe averla. Loro ci sono abituati e non ci fanno più caso. Ma per noi è diverso. La stanza del questore è splendida, l’abbiamo detto. Però c’è un problema. Non si è mai capito bene a cosa si debba, ma, man mano che la giornata avanza, la stanza comincia ad emanare un tanfo insopportabile. Non è come per la puzza di casa Martirano. Per quello è abbastanza semplice capire da dove venga, nonostante le fesserie che si inventa per non pagare l’idraulico il padrone di casa. Qui è diverso. Non si tratta di puzzo, ma di tanfo. Qualcuno ha detto che deve trattarsi di infiltrazioni di umido che impregnano i mobili e le suppellettili della stanza. Hanno anche fatto dei lavori di coibentazione, ma il tanfo non se ne è andato. La Cherubini, che lo sa bene, ogni mattina prima che il questore arrivi, spalanca le finestre per arieggiare e qualche risultato l’ho ottiene, seppure temporaneo. Oggi se ne è scordata. Bene per lei che qui non ci faccia caso più nessuno.

Ma Cardascio?

Dov’è mai finito quel benedetto cristiano?

Stronza, buttana e troia maledetta! Quante me ne ha fatte passare questa santa della minchia! Io solo ci posso combattere con questa, io solo. E solo Dio sa quanta fatica mi costa a trattenermi! Santa, sì bella santa! Vengono qui con la puzza sotto il naso perché siamo tutti mafiosi, noi! Poi fanno le peggiori porcherie. Il lavoro sporco, un piccolo piacere! Ma deve venire il momento..arriva per tutti e deve arrivare anche per lei!

E’ tutto rosso in faccia il dottore Infante quando esce dalla stanza del questore. La signorina Cherubini non sa che cosa fare, se rivolgergli la parola come ogni giorno o tacere. Alla fine lo saluta soltanto, ma quello tira dritto senza neppure degnarla di uno sguardo.

Oggi si vede che è proprio una giornata storta.

- Signorina! Signorina Cherubini!

Ancora! che vuole stavolta? Ma, non ci riesce a starsene tranquilla questa benedetta cristiana?

(Accì)


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mercoledì 27 gennaio 2010

2. Il rumore dell'acqua che scorre


Caracas 23 Gennaio 2010
Qui in Venezuela, tanti anni fa, ho comprato un piccolo terreno, 8000 metri quadrati in campagna e vicino ad un paese che si chiama San Sebastian de Los Reyes che è poi uno dei primi paesi costruiti dopo l’arrivo dei conquistatori ed è anche stato città capitale.

Questo paese si trova a 120 Km da Caracas in una zona che chiamano. “La puerta del llano” cioè la porta della pianura .
La pianura, che qui si chiama “Los llanos”, è una vastissima regione senza montagne dove i vaqueros (che sono gli allevatori di bestiame), pascolano le loro vacche.

Dietro casa mia passa un fiume che si chiama Caramacate. E’ un fiume grande che nella stagione delle pioggie si riempie tanto , c’è molta corrente ed è anche pericoloso fare il bagno. Invece nella stagione secca è dolce e trasparente e ci si può camminare dentro, ci sono piccole cascate.

Mi sono poi definitivamente innamorata di quel posto, quando è arriavato un colibrì, che è andato a succhiare il polline di un ibiscus che c’era nel giardino. E l’ho comprato.
Gli anni sono passati, ogni fine settimana andavo lì con amici, figlia, bambina, da sola. Con il sole, e con i temporali, di giorno ed anche di notte; da lontano si sentiva il suono della radio o di piccole orchestrine di vicini. Orchestrine di tre strumenti: arpa, cuatro ( che è una piccola chitarra a quattro corde) e maracas, e poi il canto.

Le canzoni parlano di animali, di cavalli, di uccellini, di fiumi e di amori.
Ieri ci sono tornata con due amici italiani, anche perché dovevo vedere delle persone che volevano comprarla.
La casa, che è molto grande, è ormai quasi vuota. E’ da un anno che non ci entro! Per terra ci sono una infinità di insetti morti, rane, foglie e sulla carta geografica appesa al muro, gli uccellini hanno fatto i loro nidi così che molti stati e regioni sono stati divorati dalla natura.
Ho cercato di non pensare a questo addio, ho cercato di pensare che le cose passano ed adesso il momento è diverso.

Ho fatto una passeggiata in mezzo agli alberi di mango, a quelli di tamarindo e di merey e poi con gli amici siamo andati a piedi al fiume. C’erano dei bambini che si facevano il bagno, degli amici che bevevano birra e rum seduti dentro l’acqua ed una leggera brezza che faceva volare le foglie degli alberi ed i leggeri semi.

E’ passato un colibrì ed ha sostato su un fiore battendo velocissime le ali.
Più che un uccellino sembrava un insetto, di quanto è piccolo.
Noi ci siamo seduti su una pietra a guardare e ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorre.
E poi, siamo tornati a Caracas. ...(continua)

(nella foto, la montagna di fronte casa mia)


(alessandra vassallo)

(17) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XVII

Piazza Indipendenza

Franco e/o Ciccio e/o Cicciuzzo Martirano

Cazzo se gli viene pesante alzarsi la mattina. E vorrei vedere, povero picciotto, con il lavoro che fa per quattro lire dal quel tirchio dannato di Quartararo. Solo lui tiene per l’albergo: Ciccio pulisce, Ciccio prepara le colazioni (si fa per dire colazioni, al massimo un caffè vista la clientela), Ciccio va a fare le commissioni e, ancora, Ciccio risponde al telefono le rare volte che squilla per sbaglio.

Sempre pesante gli è vento alzarsi la mattina dal letto, ma negli ultimi tempi è ancora peggio. Da quando è successa la disgrazia per intenderci, Cicciuzzo trova ristoro alle sue pene solo nel sonno. Dormendo stacca la spina e per quelle ore che gli paiono sempre pochissime (pure se non è vero, visto che dorme dalle nove alle dieci ore a notte) si scorda tutto quanto e se ne sta in pace.

Ma la sveglia ha già suonato la prima e la seconda volta, quindi onde evitare seccature più pesanti assai del risveglio, Ciccio deve alzarsi dal letto.

Lo sa che a casa non c’è nessuno a quest’ora, così si può permettere di girare in mutande. Solo al mattino e, solo quando la madre e il padre non ci sono, può farlo e a lui piace farlo.

Ciccio dimostra meno dei venticinque anni che ha all’anagrafe, forse per una tradizione di famiglia. I Martirano si portano gli anni alla grande.

Eh sì i Martirano, proprio così. Vedo che siete stati attenti. Franco e/o Ciccio e/o Cicciuzzo è il figlio di Attilio Martirano, quello delle sanguinelle di Borgo Vecchio. E’ lui il figlio che al vecchio Martirano non cala per niente. E non è perché a guardarlo questo figlio gli sia venuto male. Al contrario. Ciccio non si può dire che sia un bellone, ma manco brutto. Altissimo non è e neppure pompatissimo di palestra come molti suoi coetanei (lui dove li trova i soldi per la palestra?), però è un tipo. Lo vedete pure voi, quindi non fate quei sorrisini da scemi. Intanto Ciccio è rosso di capelli e di pelo, cosa mai vista in famiglia e circostanza che ha fatto, alla nascita, dubitare Martirano padre di quella santa donna della sua signora. Poi, ha due occhi di un azzurro che pare un vikingo, due semafori che ti guardano con una ingenuità che si è conservata soltanto lì.

Cicciuzzo deve affrettarsi non tanto per la madre, che, pure tornasse in anticipo dalla messa, farebbe sì storie a vederselo davanti mezzo nudo, ma che poi si scioglierebbbe, appunto. per quelle nudità filiari che a lei, in quanto fattrice, appaiono celestiali. No, non si tratta della madre, ma del padre, il signor Attilio Martirano che, puntuale come un orologio svizzero, carattere forse appreso proprio in quel paese dove è andato, emigrato come tanti, alle dieci spaccate si presenta in cucina con la spesa. Allora sì che Ciccio vedrebbe per l’ennesima volta l’inferno. Nessuno riesce a fermarlo, neppure la moglie che ha sviluppato la capacità preziosa di non sentirlo più se non per le cose che interessano a lei. Con Ciccio il signor Martirano non va proprio d’accordo. Dice che si tratta del lavoro che il figlio si ostina a fare, spergiura che non gli piacciono i vestiti che si mette e la sua zazzera rossa e lunga sulle spalle. Ma, mai e poi mai si riuscirà a fargli ammettere il vero motivo. Quello deve restare sepolto fra le quattro mura di casa. Come se il mondo e la gente là fuori non si fosse mangiata non solo la foglia ma pure il fusto e le radici di cotanto custoditissimo segreto.

Ciccio non è che lo sbandieri ai quattro venti, ma neppure si nega nel caso in cui qualcheduno gli pone la fatidica domanda.

L’ha fatto, sono già dieci anni, la prima volta con la madre che sempre presa dal sacro furore della pulizia aveva trovato sotto il letto del figlio uno strano giornaletto. Ciccio quella volta le ha detto che sì la rivista era sua, anzi più correttamente che l’aveva avuta in prestito da un amico, che sì quelli nudi erano maschi, che, come certamente la madre sapeva, di maschi e anche di femmine come quelli lì ce n’erano tanti sparsi per li mondo, che sì - lui lo sapeva da sempre - era gay come quelli là.

Sorvoliamo sul mancamento della signora e sulla rabbia di Martirano per quell’unico figlio perduto per sempre. Da allora era cominciato il tormento, la guerra infinita fra padre e figlio costantemente alimentata dalla cocciutaggine di entrambi che mai avrebbero riconosciuto all’altro una via di fuga onorevole.

Ora che sapete tutto o almeno quanto basta, stiamo zitti e vediamo che cosa succede.

Certo che sono sciupato. Avrò perso almeno tre chili da quando è successa la disgrazia. Io non lo so più che devo fare. Sono proprio sfortunato, sarà per le maledizioni che quello mi lancia ogni giorno che apre gli occhi. Ma se ne deve fare una ragione. Tanto io così sono e non cambio solo perché a lui non gli piace. Ma a parte questa storia che fastidio gli do? Non ci vediamo mai, perchè io lavoro tutto il santo giorno e pure se ho qualche ora libera in casa non ci metto piede. Soldi non ne chiedo, perchè mi faccio bastare quelle quattro lire che mi passa Quartarano. Dovrei andarmene a stare per i fatti miei. E c’ero quasi riuscito. Bisognava aspettare solo qualche mese, il tempo di risolvere delle questioni di eredità con le figlie. Io gli dicevo che non me ne importava niente della casa che aveva, che se le figlie la volevano, la poteva pure lasciare a loro. Tanto per me l’importante era andarmene da qui e stare con lui. Ma no, cocciuto come mio padre, la buonanima. Aveva una faccenda per le mani, una cosa grossa e un guadagno ci sarebbe stato certamente. A maggior ragione, gli dicevo io perché ostinarsi con le figlie? Lasciale perdere loro e quelle quattro mura. Di case ce ne sono tante e poi tu sei dell’ambiente e non ci metti niente a trovarne una che ci vada bene. C’è stato un momento che ho pensato che tutto dovesse finire come le altre volte. Mi ha detto che c’era un problema e io avevo pensato che fosse una cosa che ci riguardava. Invece, era per quell’affare. Pensava che tutto si fosse risolto, ma era spuntato fuori quel coccio, che a me mi pareva un pezzo di coccio e basta. E, invece, era un reperto archeologico, mi ha detto, una cosa importante che poteva mandare all’aria tutto quanto. Lui si era convinto che quel reperto lì ce lo aveva messo apposta qualcuno. Sai quanti ne salterebbero fuori di antichità, se solo... Però, intanto il progetto si ferma chissà per quanto tempo, magari per sempre questa volta.

Era durato poco per fortuna, che ne so un paio di mesi al massimo ed era tornato quello di prima, a fare progetti per quando ci trasferivamo a casa sua. Perché alle figlie non avrebbe dato niente. Era ancora vivo e quindi era tutto suo, casa compresa.

Poi è successa la disgrazia.

Li avete notati pure voi vero? Sono le stesse trincee che abbiamo visto sotto casa del dottor Filippo Virgilio. Si dà, appunto, il caso che casa Martirano si affacci sulla medesima piazza Indipendenza. E vi assicuro che i rapporti fra i due finiscono lì.

Contrariamente al nostro funzionario che mal li sopporta per il fastidioso rumore e gli inconvenienti connessi, i lavori in questione hanno trovato la piena approvazione di Attilio Martirano, oltre alla sua appassionata e diuturna attenzione. Non passa giorno che il nostro pensionato non stazioni qualche oretta a sorvegliare le opere e a chiedere lumi agli operai, i quali, digerito rapidamente il diversivo rappresentato dalle chiacchere del pensionato, ora mostrano aperti segni di insofferenza. L’essere in se’ un diversivo nelle giornate altrimenti assai monotone di Martirano padre costituisce certamente una parte non da poco nell’apprezzamento da lui dimostrato per l’iniziativa. Tuttavia, la questione non si esaurisce solo lì. Ricorderete certamente quella terribile puzza che impesta la cucina del pensionato. Martirano è convinto che i lavori siano stati previsti per togliergli tale fastidio. Anzi, si è pure sbilanciato a dire e, guai a chi tenta di smentirlo, che da quanto sono cominciati il puzzo sia notevolmente diminuito.

Ovviamente, le cose non stanno affatto così.

Difatti Cicciuzzo in cucina si ferma solo un istante, il tempo di arraffare due biscotti e una tazzina di caffè, da consumare con calma nel bagno di casa che, al contrario della cucina, profuma come un giardino a primavera. Un biscotto mezzo morsicato in bocca e in mano la tazzina di caffè ormai freddo, l’erede Martirano si guarda allo specchio.

Certo che mi sono sciupato assai dopo che è successa la disgrazia. Non posso continuare così. E’ finita e quando una cosa è finita non ci si può fare più niente. Mettiti il cuore in pace Ciccio caro! Lascia perdere i bei ricordi e scordati il futuro che ti pareva già quasi presente. Sei giovane e chissà quanti ti correranno dietro. Però ci devi dare un taglio se no altro che correrti dietro, si scantano a guardati con questi occhi spiritati che hai e questo pallore e le occhiaie. Anzi, pensa ad evitare guai peggiori di quelli che già ti sono capitati. Non puoi fare un passo avanti e due indietro. C’è mancato poco l’altro giorno che il commissario ti vedesse alla villa. Ma che cazzo ti è passato per la testa? Vuoi parlarci? E parlaci allora! Vuoi continuare a giocare a nascondino con lui? Continua e vedrai come ti finisce!

Vai a sentirlo allora a tuo padre!

Gli vuoi dare ragione? Lo sai che dice di te? No? Che sei un errore della natura, che non puoi essere figli suo e per di più (vai a sapere come fa a dirlo con tanta certezza) sei pure una cosa inutile, visto che non riesci a fare fortuna come tanti di quelli come te!

Ma che gli dico al commissario?

Quello che sai gli dici!

Ma io niente so a parte che è successa una disgrazia e che nessuno ci crederà mai!

Stai tranquillo che quello ci arriva a te! Allora deciditi!

Ci devo pensare, ci devo. Non sono cose che si decidono così.

Va bene, lasciamo perdere, pensaci pensaci.

Poveretto! Deve averne passati di guai, il nostro Ciccio Martirano. Non è che si capisca granchè, è vero. Ma basta guardarlo in faccia per rendersi conto che qualche cosa di grave deve essergli successa di sicuro.

In tutto ciò il commissario Cardascio l’abbiamo perso di vista. Tutti ne parlano o ne pensano e noi che dovremmo conoscere meglio di loro le cose, non ne sappiamo più un accidenti.

Lasciamo Ciccio ai suoi tormenti e vediamo di rintracciarlo.


(Accì)


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venerdì 22 gennaio 2010

(16) il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XVI

Palermo? Può essere.

- C’è una novità.

- Un’altra ancora! Non si era detto che con le novità si doveva finirla una volta per tutte. Che era meglio che la questione si ammucciasse un poco?

- Questa è buona, però?

- Cosa, la novita?

- Sì quella. E’ davvero buona assai. Te lo assicuro io.

- La finisci di giocare agli indovinelli? Di che cosa si tratta? Se devi dire una cosa, Cristo santo, dilla!

- C’è un’altra lettera.

Un’altra lettera? Che lettera?

- Anonima pure questa!

- Ah questa sì che è buona! E chi l’avrebbe mandata questa nuova lettera anonima?

- Questo ancora non si sa. Però, a quanto ne posso capire io, ci dovrebbe stare bene. Anzi benone.

- Di nuovo ci torni? Sei proprio deciso a farmi perdere la pazienza?

- Tranquillo, ora vengo e mi spiego. La lettera, l’ho vista.

- Meno male, almeno questo sei riuscito a farlo, bravo! E che dice?

- E’ diversa.

- Oh santo Iddio, certo che è diversa. Poteva mai essere uguale alla prima?

- Sono solo due righe. Il carattere è bradley hand ITC e non verdana come nella prima.

- Guarda che questa volta mi incazzo sul serio, hai capito? Te lo devo dire in cinese che quello di cui vai sparlando non significa un cazzo di niente?

- C’è scritto soltanto che Quartararo dice minchiate e che pare fissa ma non lo è.

- Tutto qui? Non c’è scritto nient’altro?

- Non te l’avevo detto che la novità era buona?

- Niente, non c’è niente da fare. Qua mi pare che o sono io che non mi spiego, ma la cosa mi pare difficile, oppure che il fissa in questa questione sei tu e non Quartararo, che dice quello che deve dire, lui.

- Non ti capisco, non è buona la novità? Il questore la lettera l’ha data a Cardascio.

- E a chi doveva darla? A chi? A quella…lasciamo perdere che è meglio. E’ inutile. Che ti spiego a fare? Una camurria è, non lo capisci ancora? Stava andando tutto così bene! L’articolo sul giornale, cosa fatta! Ora dobbiamo aspettare ancora. Gli hanno tolto un bel peso dallo stomaco a quelli lì. Hanno un culo da fare paura. Uno si addanna a mettergli i bastoni fra le ruote e loro se ne escono sempre alla grande. E che cazzo! La lettera anonima, il coccio fasullo, niente! Arriva sempre il michione di turno e gli toglie le castagne dal fuoco. Se non è culo questo, allora cos’è?

- Tu l’hai sentiti a quelli?

- Certo che li ho sentiti! Se no come usciva quell’articolo. Le pinze mi ci sono volute per farglielo fare. Santa Madonna! E ci vuole pazienza e bisogna aspettare e i tempi non sono maturi. Non me la contano giusta quelli! E ora? Te ne vieni qua tutto contento con questa bella novità del cazzo. Già che l’articolo di Repubblica non valeva niente, ma ora carta straccia è. Solo carta da giornale per fare i coppi per la frutta al mercato. Questo è.

No, che non lo so chi sono. Dovete scusarmi per prima ma devo ammettere che non ci sto capendo niente neppure io. Ora andiamo se no facciamo tardi. La persona che dobbiamo andare a trovare si sta alzando dal letto proprio ora. Non ci mette molto ad uscire. Un caffè e via e per oggi l’abbiamo perso.


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mercoledì 20 gennaio 2010

(15) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XV

La Curia dei Frati dell’Incoronazione

Don Raffaele Cimò

- Oh, Francesco Paolo che piacere sentirti? Come stai? E la tua signora? Gianni e Daniela?

- Bene, grazie, Don Raffaele, dovete scusarmi se vi disturbo, ma è cosa di una certa importanza e delicatezza.

- Ma quale disturbo…dimmi, Francesco, posso esserti d’aiuto in qualche cosa?

- Non si tratta di questo, ringraziando il cielo. E’ che l’altro giorno è venuto a cercarmi un certo commissario, il commissario Cardascio della Questura.

E va bene, si dice Don Raffaele, alla fine doveva succedere ed è successo. Troppo diretto il collegamento fra la Congregazione e il povero ragioniere per sfuggire alla polizia.

Francesco Paolo gli ha assicurato che non ha rivelato nulla e per questo lui l’ha pure un poco rimproverato. Non trova ci sia motivo per un riserbo che può, facilmente, essere scambiato per reticenza.

Impallomeni ha lavorato da loro in questi ultimi anni, e allora? Cosa c’è di male a tendere la mano ad un povero cristo, vedovo, che non riesce ad arrivare alla fine del mese con la misera pensione che gli passa la Regione?

Niente di male, assolutamente. Anzi, si tratta di operare il bene.

D’accordo, non bisogna esagerare nelle giustificazioni. Forse è più giusto dire che si è trattato, piuttosto, di dare aiuto a chi ne aveva di bisogno per riceverne qualcosa in cambio. Ed anche in questo caso, cosa ci sarebbe di male?

Niente, ovviamente.

Magari, ci può essere stata un tantino di imprudenza? Beh, quello può essere. Ma, come, anche lontanamente, andare ad immaginare che quell’uomo così a modo si facesse ammazzare per strada come un delinquente?

Va bene, dell’inclinazione di Impallomeni si sapeva. E’ vero, non si può negarlo. Ma santiddio! Che il Signore mi perdoni, a quell’età! Andiamo! ancora a correre appresso ai ragazzi!

Comunque, quel che è fatto è fatto, inutile piangerci sopra.

Devo informarLo?

Mi dicono che su quella nostra questione ha fatto fuoco e fiamme per l’articolo sul giornale. Immaginati a tenerlo all’oscuro di questo commissario!

Ma poi, ci sarebbe venuto da loro?

Chi può dirlo?

Dipende da com’è questo commissario Cardascio. Di solito, dormirebbe sogni tranquilli. Però…E’ stato già imprudente tenersi in casa Impallomeni – che, per inciso, bene bene non può dire di conoscerlo veramente - ripetere l’errore un’altra volta con la polizia, questo proprio non se lo perdonerebbe mai.

Chiedere a qualcuno? Assumere informazioni? E perché mai?

Farlo parrebbe rivelare un timore per qualcosa che non esiste. A parte scatenare le male lingue. Non se ne esce. In questa maniera non riesce a scegliere un partito per l’altro.

Meglio allora prendere un poco d’aria, avrà pensato, visto che ora passeggia da solo nell’immenso chiostro del convento.

Certo che è imponente, vi pare? Non si badava a spese a quei tempi, qui come altrove. E a Palermo, ai preti di soldi non ne mancavano. A chi dovevano lasciarli? Ora, se c’è qualcuno che si azzarda a dire che pure di eredi non ne mancavano…Per cortesia! Andiamo!

Si spendevano per la maggior gloria di Dio. E questo vi basti: niente analisi storiche, cronache o romanzetti d’appendice.

Dopo le cose sono cambiate, ovvio. Non è più come una volta, pure se alla fame non ci sono arrivati mai. Però, di soldi per costruire questi popò di edifici non ce ne sono più già da molto tempo.

Ora entriamo senza dare troppo nell’occhio e senza distrarsi come al solito. Non siamo qui per ammirare i monumenti.

Vi voglio, invece, presentare quel frate. Sì proprio quello che sta passeggiando nel chiostro.

Si chiama Raffaele ed ha cinquantanni, portati un po’ male, contrariamente alla media dei suoi confratelli. Come potete vedere, è alto ma un poco curvo e macilento. Pallido da fare paura, considerato che non esce quasi mai dal suo ufficio.

Non è che lo faccia per pigrizia o per mortificazione della carne. No, questo no. E’ che il nostro don Raffaele si porta sulle spalle un carico assai pesante.

Fa l’economo della curia generalizia della sua congregazione. E non è che sciali. Di novizi neppure a parlarne. Sono rimasti quasi solo vecchi, buoni solo a dire messa e a confessare quelle quattro donne che frequentano ancora quell’enormità di chiesa che si trova alle sue spalle. E sulle sue spalle, povero don Raffaele!

Perché il nostro don Raffaele deve sbattersi tutto il santo giorno e tutti i santi giorni che il Signore manda in terra per tenerla in piedi questa chiesa. E il convento, e il chiostro, per non parlare, poi, di quello che è rimasto sparso qui e là dell’antico patrimonio della congregazione.

Niente di che, solo seccature che non rendono niente se non guai, come nel caso di quel benedetto fondo (maledetto non se la sente di dirlo perché è pur sempre grazia di Dio).

Come rimproverarlo allora di avere teso la mano ad Impallomeni?

Una benedizione gli era sembrata. Per quanto di là con gli anni, il ragioniere era ancora assai arzillo e lucido e lavorava quasi gratis.

Ora, però, se facciamo un poco di silenzio, forse in questa quiete possiamo pure cogliere quello che Don Raffaele va dicendo fra se’ e se’ mentre passeggia.

Ci ha dato una mano a risolvere la questione? Sinceramente non si sente di affermare o negare niente. Certo è che, Impallomeni, lavorava da loro che non erano passati neppure due anni, e la faccenda si era risolta come d’incanto.

Lui l’aveva visto guardare le carte e il progetto. Stare seduto a riflettere, ad apportare qualche correzione alle relazioni, a tagliare da una parte ed a aggiungere da un’altra.

Andava e veniva dagli uffici con la sua grossa cartella nera sciupata e diceva sempre di continuare a sperare nel meglio, perchè la cosa si sarebbe risolta.

E la cosa si era risolta. Merito di Impallomeni? Sinceramente non si sente di affermare o negare niente.

Com’era contento Impallomeni quando è arrivata quella carta dalla Sovraintendenza. Manco fosse lui ad avere penato per tanti anni, sapendo che la buona riuscita dell’affare avrebbe risolto quasi tutte le difficoltà economiche della congregazione.

Poi si è presentato quel problema e la contentezza è sparita. Si è fatto scuro in volto e se possibile ancora più curvo. Mesi e mesi a stare seduto alla sua scrivania a guardare fisso davanti a se’ il muro bianco di fronte. O forse guardava il quadro di S. Annibale Maria di Francia? Sinceramente, Don Raffaele non si sente di affermare o negare niente.

Però, questa volta in cuor suo spera che proprio il santo guardasse Impallomeni, perché dopo tutti quei giorni grigi, di punto in bianco, l’ha visto arrivare una mattina dritto e arzillo come una volta.

- Dovete proprio realizzarlo voi il progetto?

Così, senza neppure salutare quella mattina.

- Certo che no. Anzi, a volere essere onesti, non ci aveva mai seriamente pensato visto come erano andate le cose. Una questione chiusa, almeno così gli dicevano tutti.

- Allora, niente è perduto! Scusate, scusate, ma ho cose molto urgenti da fare questa mattina.

Com’era venuto se ne era andato senza farsi vedere per alcuni giorni.

Alla fine era tornato e aveva ripreso il suo lavoro come se niente fosse successo.

Ora ci si metteva questo commissario Cardascio e don Raffaele non sa decidersi se aspettare o anticipare l’intervento, possibile, certo, non sicuro, della polizia. Non sa risolversi se agire secondo la sua coscienza che nulla ha da temere dalla giustizia, oppure informare chi di dovere.

Ne conosce il modus operandi e sa dell’indecisione che lo contraddistingue, anche, se in tanti lodano tale irrisolutezza come prudenza.

Forse, almeno, col padre priore, però?

E’ dura, inutile che ci state a babbiare. Vorrei vedervi nei suo panni! Ora che Don raffaele è tornato al suo lavoro, se proprio volete, date un’occhiata intorno che ne vale la pena.

Attenti però quando entrare nel giardino. I frati, poveretti, non sanno più a che santo votarsi. In primis don Raffaele, perché come per tutto quello che è questione pratica, pure questa è compito suo.

Hanno chiamato questo e quello. Si sono rivolti alle autorità responsabili, salvo poi sentirsi ripetere che responsabili erano altri. La cosa sta ancora là e priva il convento anche della consolazione di una passeggiata in giardino.

Che è successo di così tremendo? Perchè non la sentite la puzza?

E successo che la condotta fognaria è saltata e nessuno ha ancora deciso chi abbia il dovere di intervenire.


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o a persone realmente esistite o esistenti
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lunedì 18 gennaio 2010

1. Caracas!


di Alessandra Vassallo

diario di una ex emigrante ora immigrante e qualche volta di nuovo emigrante.

15 Gennaio 2010
Partenza da Palermo, stamattina alle 6,45.Un amico mi ha fatto andare nella saletta VIP.
Nuova esperienza, invece di famiglie piene di borse di plastica, zainetti e cassate, c’erano solamente anonimi signori con giacca blù ed impermeabile rigorosamente beige, che sorseggiavano il caffè e mangiavano deliziosi croissant piccoli, o graziosi muffins.
Il volo Alitalia ,Roma- Caracas è stato segnato da 4 eventi che non sono poi così particolarmente eccezionali, anzi, sono normali:

1: Gli audifoni per sentire musica e films non entravano nei buchini “posti nel bracciolo della vostra poltrona”.
Quindi, avendo io esposto, gentilmente, agli assistenti di volo, questo problema, mi sono sentita rispondere in modo secco, che potevo cambiare posto.
Faccio notare che l’aereo era stracolmo e quei pochi sedili liberi erano occupati da persone che si erano piacevolmente stese ed addormentate sin dal primo momento del volo.
Quindi ho scelto di leggere (l’eleganza del riccio), fare parole crociate e ricopiare i numeri di telefono dalla rubrica vecchia ad una nuova per undici ore di volo.

2: Ora pranzo. Da vari anni chiedo cibo senza lattosio, essendo allergica.
Mi sono vista arrivare un vassoietto composto da: una mini vaschetta con dentro del riso giallastro leggermente bruciato, qualche pezzetto di zucchini anche loro secchi e bruciacchiati, una specie di polpetta verde, dal gusto indefinito e coperta da un pomodoro rosso nero e schiacciato.
A parte: una mini vaschetta con: un pugnetto di carote tagliate fine, tre punte di asparagi.
Panino e una tazzina con un quarto di kiwi e un quarto di mela tagliata a quadretti (graziosa!)

3: Arrivo in ritardo di un ora.

4: La mia valigia contenente olio, parmigiano, pinoli, acquarelli, medicine eccetera, non è arrivata. Forse…arriva domani.

Quando esco dall’aereoporto, ritrovo quella sensazione di caldo-umido-tropicale-palme-terra rossa-cielo enorme che mi entra, come sempre nell’anima e nel corpo.
Mi aspetta il taxi che mi porterà a Caracas.
Dall’aereoporto di Maiquetia fino alla città ci vogliono circa 45 minuti senza traffico, ed anche ore, quando ce n’è.

Mi ha meravigliato non vedere più i grandi cartelloni pubblicitari di marche di tutti i tipi. Adesso ce ne sono molti di meno, e quasi tutti venezuelani.
Caracas, una bella città adagiata in una valle sotto la montagna dell’Avila che la divide dal mare.
Caracas con i suoi giardini e i suoi parchi, una volta tanti e ben tenuti, con il suo centro ed i suoi mercati, i quartieri coloniali dove le case avevano spaziosi patios e magari un albero di mango nel cortile, I bar con i tavolini sul marciapiede, las esquinas (angoli delle strade) dove succedevano molte cose.

Adesso è tutto cambiato, di notte le strade sono vuote, per paura degli assalti, i quartieri più ricchi o quelli della classe media, sono piantonati da guardie che giorno e notte vigilano l’entrata.Di notte, ma anche di giorno la gente si muove con sospetto ed attenzione.
Anche io sono arrivata con una certa paura, tre mesi fa, sono entrati i ladri in casa mia qui a Caracas, hanno rubato un sacco di cose, di giorno mentre pioveva e c’è stato pure un terremoto.

Mi dico che devo stare attenta, ma non avere paura.
Il primo giorno qui è ritrovare nella casa e negli oggetti trent’anni di vita: mia figlia ed i suoi giocattoli, il lavoro, i colori, la cantina piena di cose anche assolutamente inutili, i libri.
Sono stanca, ho molto sonno e so che in questi casi è inutile decidere qualcosa, meglio lasciarsi prendere da questa dolce serata tropicale e senza vento ed addormentarsi accompagnata dalle voci dai suoni e dalla musica della strada. (continua).

(alessandra vassallo)

sabato 16 gennaio 2010

(14) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XIV

Piazza Indipendenza

Dottor Filippo Virgilio

Non si può dire che ci avesse fatto l’abitudine. A certe cose non penso sia possibile. Se qualcuno gli chiedeva come andava, rispondeva invariabilmente che, certo, la situazione era assai pesante. Ma cosa farci? Tutti abbiamo la nostra croce. Se davvero croce poteva dirsi badare ad una vecchia madre che, dopo aver fatto tanto per lui, ora si trovava nella necessità di dover ricevere.

Poteva negargli questo conforto?

Non si era neppure sposato per questo, puntualizzava per ogni buon conto. Detto fra noi, questa puntualizzazione ci sa di excusatio non poetita. Intendiamoci, nessuno vuole mettere in dubbio la buonafede di chicchessia, ma ci resta difficile da digerire il fatto che avere una madre inferma debba significare l’impossibilità tout court di ambire a giuste nozze. Ma ci sono madri inferme e madri inferme, potrebbe ribattere l’interessato. E bisogna convenire che la sua è davvero inferma, inferma.

Così, le notti passano in un lungo dormiveglia con l’orecchio sempre attento a captare possibili rumori o voci foriere di allarme. Di questi ultimi ce n’erano stati così tanti da apparire, ad un occhio appena appena esterno, non proprio autentici al cento per cento. Questo figlio esemplare, però, accorre sempre, senza pensare neppure un istante che quello cui tenta di porre rimedio possa essere l’ennesimo falso allarme di una ennesima notte passata in bianco.

Non diversamente dalle notti, sarebbero andati anche i giorni, se il dottor Virgilio Filippo – è lui il figlio che ogni madre inferma vorrebbe avere accanto nel bisogno - non avesse avuto un lavoro che lo costringeva ad assentarsi, suo malgrado, dal capezzale della madre.

Il dottor Virgilio, come ormai sappiamo, lavora alla Sovraintendenza ai Beni Culturali.

Ed, in effetti, è proprio quel funzionario che Cardascio ha incontrato nell’anticamera di Perez e che, in seguito, gli ha consigliato di lasciar perdere le carte che il suo gentilissimo capo gli aveva fornito.

E dagli con le piazze, direte. Sulla questione ho già detto e non voglio tornarci ancora. Non so perché tornino in ballo quasi solo piazze in questo romanzo. Non lo so e non credo sia importante saperlo. Se, poi, volete perderci il vostro tempo, sono affari vostri.

Comunque, tanto per non smentirmi, pure questa è una piazza si fa per dire. Sarebbe grande, anche per una città che alle piazze ci è abituata. Ma non è così. Ci sono dei giardinetti in mezzo dove sostano arzilli vecchietti e tutt’intorno scorazzano le automobili da mattina a sera perché è una delle zone più trafficate della città. Il motivo di cotanto flusso viario trova giustificazione oltre che negli arcani flussi del traffico cittadino, nella circostanza che in questa piazza si affaccino gli uffici pubblici più importanti: quello del Governatore, come si dice ora del Presidente della Regione e della Assemblea Regionale che, altro non è se non il consiglio regionale della Sicilia. Con la differenza però che quest’ultimo è molto più antico di tutti gli altri consigli regionali. Così tanto antico da non entrarci per niente con la Regione di oggi.

A motivo di cotante illustri presenze dimoranti in altrettanti imponenti palazzi, la piazza è quasi del tutto priva di edilizia residenziale. Tranne che su un limitato segmento, dove si affacciano alcuni palazzotti di vecchio decoro e di attuale abbandono. Al terzo piano di uno di questi, nonostante l’ora c’è ancora una luce accesa.

-Filippo, Filì. Ma che fa non ci sente? Ma che fa, dorme? Nessuno ci pensa a questa povera vecchia. Nessuno! Il Signore mi deve fare la grazia di levarci l’incommodo. Ma perché non mi piglia? Che ci sto a fare? A niente servo più. Certo prima non era così. Bastava un bai, e subito: che c’è? Di che hai bisogno figliuzzo adorato? Ma ora, ora, nessuno mi sente. Sola mi devono fare morire, sola come un cane.

Sarà stato per la stanchezza o per un abbiocco incontrollato, ma questa volta Filippo non l’ha sentita lamentarsi. Ora, però, sì, visto il volume in crescendo delle lamentazioni medesime. E meno male che accanto non ci abita più nessuno da tanti anni. Se no, chi li sentirebbe i vicini.

Il dottor Virgilio, figlio devoto, fa per alzarsi, ma si blocca, chiedendosi, per la prima volta, se è proprio necessario accorrere. Ascolta il mormorio della madre farsi sempre più flebile per poi, finalmente, cessare.

E’ possibile allora! Non è successo niente. Dorme. Certo, il più tardi possibile, quello che deve accadere accadrà. Può impedirlo lui per quanto amore ed abnegazione ci metta? Possono impedirlo le mille chiamate al 118, con i cui addetti è costretto a camuffare la voce per evitare che gli chiudano il telefono in faccia?

Però, il dubbio gli rimane e gli rode la coscienza: e se fosse davvero arrivato il momento? Posso io negarle questo ultimo conforto? Come mi sentirei dopo, se non arrivassi in tempo a darle aiuto?

Non scherzateci, per cortesia. Il tormento è grande ed è diventato così profondo che, per sua fortuna solo in pochissime occasioni, Filippo si è reso conto con un certo sgomento di non poterne fare a meno, nonostante avverta anche una rabbia che non riesce a sfogare.

Pur non sentendo più nulla, Virgilio, si alza e raggiunge la stanza della madre. La vede dormire e subito gli prende un tremito incessante, tanto che deve afferrarsi allo stipite della porta perché sente le gambe che cedono.

E’ cominciato così che saranno tre mesi ed è andato sempre peggio al punto che Filippo, ora, non riesce manco più a guardarla in faccia sua madre.

Non ha smesso di occuparsene, ovvio. Come potrebbe? Da un po’ ha assunto una badante rumena a tempo pieno, nonostante l’inferma l’avesse sempre rifiutata in passato.

La madre continua a chiamarlo la notte, ma lui da quella volta non si è più alzato.

La situazione rimane sospesa e basterebbe un niente per far precipare le cose. Virgilio se ne rende conto benissimo. è chiaro. Da allora, però, continua a ripetersi che, nonostante gli sforzi, nessuno può evitare che quello che deve succedere, accada. Non è sia granchè come consolazione, ma per ora se la fa bastare.

E come se tutto questo non bastasse, da un po’ di tempo in qua, si porta appresso un’angoscia costante che non lo molla mai un istante. Angoscia, però, che con la madre c’entra e non c’entra.

Si tratta, in effetti, del suo lavoro, cioè della sua unica libera uscita dall’inferno domestico.

Non è stato attento, si ripete, e non l’ha potuta evitare. Così ora si ritrova fra le mani la frittata che potrebbe significare la messa a riposo anticipata o peggio….

In altre parole, la fine.

Quindi, non è a causa dei malori della vecchia madre che quella luce resta accesa al terzo piano del palazzotto di Piazza Indipendenza.

Virgilio non sa più come uscirne. Ha tentato di parlarne a Perez. Ma, guarda caso, dal momento in cui il caso è scoppiato, il sovraintendente non ha avuto più tempo per riceverlo. Si è confidato con vecchi colleghi che dopo avergli dato una pacca sulle spalle se ne sono andati per i fatti loro. Di amici, amici veri, non è ha. Del resto, come avrebbe potuto farsene se non poteva uscire di casa, ne’ portarceli perché la madre non voleva nessuno fra i piedi? oltre loro due, s’intende.

C’è stato pure un momento in cui ha pensato di parlarne a lei. Ma, al solo pensiero il tremore ha ripreso a scuoterlo come una foglia, costringendolo a rinunciare.

Quel commissario?

Virgilio si rende conto che la mossa è estrema, quasi disperata. Ma, cosa gli può succedere di peggio di quello che ha già dettagliatamente previsto?

Magari, tutto si risolve in un gran polverone, di quelli che restano qualche giorno sui giornali e che poi tutti dimenticano. A lui l’avrebbero fatta pagare cara, ma non tanto, riflette, quanto l’anticipata pensione o il licenziamento e la prigione.

Un traferimento per incompatibilità ambientale? Sarebbe stato perfetto, anzi meglio in altra sede, lontano dalla città. Una sede periferica, con pochi impiegati a far niente tutto il santo giorno. E chi se ne frega!

La nomea di spione lo avrebbe raggiunto anche lì. Di questo era sicuro, ma tutto era meglio che lasciare il lavoro o peggio.

L’avrebbe chiamato domattina, il commissario. Anzi, capendo che la luce non è più quella dei lampioni, fra poche ore.

In effetti, lo strombazzamento del traffico ha ripreso alla grande. In più, da qualche giorno, si è aggiunto il rumore assordante di alcuni, oscuri lavori stradali.

Lunghe e profonde trincee attraversano la piazza. E che schifo, porca miseria! Avranno distrutto la tana di qualche numerosissima famiglia di sorci che ora scappano impazziti e qualcuno finisce pure sotto le ruote delle innumerevoli autovetture dei nostri palermitani che, baldanzosi e incazzati, affrontano una nuova giornata.



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