lunedì 22 marzo 2010

10. TAGANGA

Caracas 19 Marzo 2010

Sono giorni forti, qui fa un caldo pazzesco come non ho mai sentito in trent’anni.

Oggi pomeriggio finalmente si sono sentiti dei tuoni, sembrava che dovesse cominciare un temporale, ed invece…solo poche gocce.

A Chacaito, ha piovuto fortissimo, eppure non è molto lontano da qui. Misteri delle pioggie tropicali! Il mio soggiorno è adesso pieno di un sacco di cose, dai libri alle cassette, aspettando persone che vengano a comprarli. A me, sembrano cose morte che, un qualche giorno, erano di fondamentale importanza.

Ho trovato delle lettere che avevo ricevuto quando ero in Colombia ed ho ricordato: nel 1977 avevo i documenti venezuelani scaduti, sono dovuta uscire dal paese e me ne sono andata in Colombia.Siccome, tanto per cambiare, non avevo quasi soldi, sono partita da sola in autobus.

Abbiamo attraversato meravigliosi paesaggi, tra cui la Guajra che è una regione al confine con la Colombia dove vivono gli Indios Guajiros.Sono tribù molto fiere che coltivano il culto dei morti e degli antenati e siccome non hanno passaporto né venezuelano né colombiano, posssono passare il confine quando vogliono, senza essere fermati. La donne indossano dei grandissimi vestiti tipo ponchos e sotto nascondono le mercanzie che passano da una parte all’altra. Droga,
armi, vestiti cibo. Sono donne severe che in alcune occasioni si tingono il volto di nero.

Le loro case sono di legno e palme e i recinti sono fatti con i cactus che in quella regione sono numerosissimi. La terra è rossa. Di notte siamo arrivati in un paese Colombiano vicino al confine, che si chiama Riohacha. E’ il paese più pericoloso di quella zona, lì opera la mafia guajira.

Sul mio autobus rimanemmo in quattro: l’autista, altri due, ed io. A quei tempi ero giovane. Avevo una paura tremenda, anche perché l’autobus si doveva fermare per la notte per permettere all’autista di riposare. Subito cominciarono a farmi delle proposte di tipo sessuale ed io ero realmente terrorizzata.

Improvvisamente mi vennero in mente queste magiche parole: sono sposata! Incredibile! tutto cambiò, mi ribaltarono un sedile, mi dettero una coperta e mi offrirono protezione. Io dormii tranquillamente fino al mattino. In Colombia, lavoravo in una fabbrica tessile, nella città di Barranquilla che si trova tra Cartagena e Santa Marta, sulla costa. Avevo affittato una stanza nella casa di un pescatore, in un paesino vicino a Santa Marta che si chiama Taganga..

La casa era di argilla e paglia e l’unico elemento di arredamento era un’amaca attaccata da una punta all’altra della stanza. Niente porta. Durante la settimana lavoravo in fabbrica, il Venerdì me ne andavo a Taganga ed il Sabato, a pescare con i pescatori. Partivano alle 3, 30 di mattina per raggiungere un’isola che si chiama la Aguja. Si arrivava dopo due o tre ore.

Appena arrivati gettavano le reti da ed alcuni salivano su una montagna da cui si vedeva la costa. Stavano lì ad osservare e, quando i pesci entravano nella rete, gridavano e quelli di sotto tiravano a riva le reti. Intanto si raccontavano magiche storie di pesca o di fantasmi o giocavano a dominò ed io, sempre rigorosamente con pantaloncini e maglietta, tra un bagno e l’altro ascoltavo le loro storie. Ero l’unica donna, ma mi rispettavano molto e non ho mai avuto problemi.

Poi appena tiravano le reti, mettevano da parte il primo pesce, accendevano il fuoco, preparavano una grande pentola con acqua di mare ed ognuno di loro collaborava con verdure: mais, yuca, gname, ocumo e preparavano una zuppa a cui aggiungevano il pesce appena pescato. Questa zuppa si chiama sancocho.*Quando era cotto, sul timone della barca adagiavano la parte solida della zuppa, sulla punta la testa del pesce. Ognuno prendeva un poco di brodo e pezzi di pesce e li mettevano in scodelle fatte con un seme leggero e grande che si chiama totumo.

Credo che è uno dei cibi più buoni mai provati. Poi si divideva il pescato e ne davano anche a me, però io non sapevo cosa farne perché era troppo, allora appena arrivati nel paese lo davo alle donne che aspettavano il ritorno della barca. Quello, è stato un periodo veramente felice della mia vita. Un giorno, sono andata a Cartagena, sono rimasta a dormire in un albergo nella “calle de la media Luna” e l’albergo si chiamava:Tropicana.

Era un albergo molto povero. Le stanze avevano la misura di un letto quasi matrimoniale, per cui appena entravi ti tuffavi. I muri di separazione tra una stanza e l’altra erano dei pannelli di
cartone tinti di un colore verde acqua e dalla mia stanza ascoltavo tutto quello che succedeva accanto. Si sentivano i rumori di prestazioni sessuali ed anche le conversazioni di un trafficante di smeraldi che ho poi conosciuto, si chiamava Cesar ed era veramente simpatico.


Oggi 21 Marzo 2010
E’ arrivata mia figlia che mi sta anche aiutando a sistemare la casa.Ieri siamo state a passeggiare nel Parco di Caracas: il parco dell' est. Ma desso Chavez ha cambiato nome e si chiama Parco Miranda. Francisco de Miranda fu un generale che a parte di avere partecipato a varie guerre, ispirò le idee di Simon Bolivar. Nel parco ho fatto queste foto. E’ un posto veramente bello, se venite a Caracas, vi consiglio di andarci. In questo momento, per la grande siccità, qui, vicino casa mia, sta bruciando l'Avila.

E' un grandissimo incendio. Speriamo che riescano a controllarlo.


**************

*Il sancocho è una zuppa che può essere di diversi tipi: Di carne di vacca, di pollo, di verdure, di pesce o "cruzado" cioè incrociato ed è un misto di carne rossa e carne di pollo. In alcuni posti lo fanno con le tartarughe o altri animali selvatici.

(alessandra vassallo)

sabato 20 marzo 2010

(32) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato


CAPITOLO XXXII
Fiore aulentissimo oh Rosalia, accogli il palpito del nostro cuor!
Viva Santa Rosalia

Con questo ho davvero finito. Ci sarebbe ancora tanto da dire e da mostrare di questa felicissima città e dei suoi non altrettanto felici abitanti, però, se permettete, qui mi fermo. Se ce ne sarà data occasione, si vedrà. Mi pare di avervi già detto del caso della monaca indemoniata che non aspetta altro che di essere raccontato. Con l’aria che tira di questi tempi, non è che mi faccia così tante illusioni, ma non si sa mai.
Allora, stiamo per partecipare al Festino della nostra santa Patrona, Rosalia. Dite che non c’entra niente con tutto quello che è successo prima? Abbiate fede, c’entra. Vi ricordate quando abbiamo incontrato per la prima volta quei personaggi senza volto? Lo so, sono rimasti tali e quali fino alla fine. Me ne volete fare una colpa? Comunque, in quell’occasione vi avevo detto che per tentare di capirci qualche cosa, si doveva pensare a quello che succede quando per caso ascoltiamo pezzi di conversazione sull’autobus o in un ristorante affollato.
Questa è una buona occasione, almeno secondo il sottoscritto, per mettere in pratica il consiglio che vi ho dato. Non ha funzionato per tutto il romanzo? Avete ragione. Ma tentare ancora una volta che vi costa? Ovviamente, non prometto niente. Ora spicciamoci che comincia il corteo.

Fiore aulentissimo oh Rosalia, accogli il palpito del nostro cuor!
- A quando l’annuncio ufficiale?
- Che premura c’è? Abbiamo aspettato tanto, giorno più giorno meno…
- Quindi, è fatta?
- Avevi dubbi?
- Faciamo passare l’estate, poi vediamo. Loro, comunque, sono d’accordo su tutto. Se volessimo, si potrebbe firmare domani.
- Perché perderci tempo allora?
- Datti una calmata ti ho detto! Prima chiudiamo quello che c’è da chiudere e poi a settembre si quaglia. Cazzo un’anno passò!
- Lo vedi che pure tu…
- Come al solito, non capisci una minchia. Dimmi una cosa invece. Quartararo che fine fece?
- Come che fine fece? Niente sai di quel giuda? E’ stato lui ad inguaiare quel povero cristo di Martirano e, per poco, non inguiava pure noi!
- Non so niente. Per me la questione si era chiusa già prima dell’arresto di quel picciotto. Perciò che avrebbe fatto di tanto caino da farti incazzare così?
- Come che ha fatto? Si è messo a fare il pentito quello stronzo.
- Vero mi dici? E che nomi avrebbe fatto oltre quello di Martirano?
- Solo quello, ci mancherebbe. Non saremmo qui a festeggiare ora, non credi?
- Che babbasone che sei! A te quel povero vecchio di Quartararo non t’è mai potuto calare, negalo se puoi!
- Ti metti pure a difenderlo ora a quel giuda!
- La verità è che non mi stai mai a sentire. Che ti ho detto sempre? Che Quartararo pare fissa, ma fissa non c’è e fa sempre quello che deve fare. L’hai capito o no?
- Se lo dici tu, che ti devo dire? Comunque, era troppo anziano per continuare con quel lavoro. Fa il pensionato e non se la passa manco così male.
- Va bene e i lavori all’albergo li hanno cominciati?
- Sicuro, da due settimane. Lo sai che per prenderci i soldi dei POR dobbiamo finire al più tardi la prossima primavera.
- Peccato, però, era un cesso quell’albergo, ma faceva i belli piccioli con quella clientela. Magari, dobbiamo pensare a qualche altra soluzione, che ne pensi?
Diva cui diedero lor nome i fiori,
o Santa nobile, stirpe di re.
- Ma, mica è così cretino che si presenta stasera con l’aria che c’è?
- Chi dici?con tutto questo ammuino non si capisce niente. Ah, lui…Io, per me, l’ho avvisato, poi se la vede lui…
Fiore freschissimo, oh Rosalia, accogli il palpito del nostro cuor!
E che camurria sti disoccupati! Una volta sono i senza casa, un’altra volta quelli della munnizza, mai che si possa stare in santa pace in questo schifo di città! Pure per la festa della santa patrona. La prima volta che mi capita di partecipare in veste ufficiale e vedi che bordello ti vanno a combinare questi sciamannati! Sì, sì ho capito, ora lo dico io al sindaco di non salire sul carro. Va bene, d’accordo.
Tu puro anelito dei nostri cuori,
tu faro vigile di nostra fe’
Azzo se sono imbranati! Anche per le fesserie mi devoro rompere le palle. Avesse avuto ragione la Antocci? Ma, no, magari pure io comincio a dire cretinate. Quella era un stronza e una troia, altro che. Sparì. Non si è fatta più ne’ vedere ne’ sentire, la pazza. Meglio così. Certo, ora è prefetto, la stronza. Ma, c’è da ridere, in culo al mondo l’hanno mandata! Si vede che i tanti piedi pestati alla fine hanno pagato. Voleva giocare con tutti come il gatto col topo. Che piacere! Che prio! Per me, però, l’aveva azzeccata la pulla. E non è che ci voleva tanto. Chi dovevano fare questore, Mimì Cardascio? Minchia, quello è proprio Pignatone, meglio cambiare strada.
Fiore aulentissimo oh Rosalia, accogli il palpito del nostro cuor!
- Alla faccia del caldo che fa! Ogni anno è la stessa cosa, l’afa quella giusta comincia proprio per il festino. Ma, proprio a luglio, doveva fare ritrovare le sue ossa quella santa cristiana!
- Ti metti pure a bestemmiare ora? E per di più in mezzo alla gente che ci guarda. Smettila subito e sorridi, forza!
- Non sono loro quelli?
- Quelli chi?
- Come quelli chi?
- Ah quelli. Sì, certamente. Saluta pure tu.
- Quelli non mi sono mai piaciuti. Ah, intendimi bene, ognuno bada ai propri interessi. Loro hanno fatto il loro gioco e noi il nostro. Tutto perfettamente in regola. La verità è che in fondo in fondo sono un nostalgico e non mi rassegno a dovere per forza averci a che fare con tipi come loro.
- Il fine giustifica i mezzi, caro mio. E come tu sai col nostro Fine non c’è da babbiare..eh,eh,eh.
Tu che di gelida caverna in seno,
scolpivi il nobile patto d’amor,
- E dai a me del bestemmiatore per una battuta su una santa che manco si sa se è mai esistita davvero, mentre tu ti permetti…
- Rilassati, se no senti più caldo. A proposito, devi ricordarmi di quel trasferimento. Lo sai che dopo i festeggiamenti è sempre più malleabile.
- Ti riferisci a don Cimò? E’ proprio necessario?
- Certo e, se per una volta, usassi il cervello pure tu, capiresti che dopo staremo meglio tutti quanti, compreso lui.
- In effetti, al seminario non si è trovato bene e i seminaristi si lamentano. D’accordo, vedremo.
O Rosa fulgida che dolce olia/ o giglio candido spruzzato d’or
Si è girato la faccia, quello stronzo. Non ce l’ha il coraggio di guardarmi quel figlio di buttana. Cornuto e bastuniato, che figura di merda che ho fatto! Credere a quello? Solo un babbasone come me ci poteva cascare. Il bello guadagno per quella carognata del referto? solo questo peso sulla coscienza.
Tra cento ostacoli, concedi almeno,
che della grazia serbiamo il fior
- Dottore…Dottore Pignatone, che piacere! Le posso presentare mia cognata di Milano..
Fiore freschissimo, oh Rosalia, accogli il palpito del nostro cuor!
E statevi fermi, per amor di Dio! Mi chiedo che ci portiamo a fare questi poveri picciriddi a cose di questo tipo e con il caldo che fa. Lui, però, la pensa diversamente. Bisogna recuperare le tradizioni. Fare vedere al popolo che tutta la chiesa partecipa alla festa della santa patrona. E chi può dire niente. Mi hanno detto che vorrebbero trasferirmi. Per certi versi la cosa non mi dispiace, per altri mi fa incavolare. Certo meglio tentare da qualche altra parte che restare qua a fare la chioccia a questi ragazzini che entrano in seminario solo per bisogno. Ma, si dice pure che il motivo starebbe nel fatto che faccio troppe domande.
Tu che sui culmini del Pellegrino
Sfogavi all’aure immenso ardor
- Don Cimò, Rosario mi ha sporcato la cotta
- Forza ragazzi, forza, guardate com’è bello il carro, forza che ora comincia il corteo.
O RosA fulgida che dolce olia/ o giglio candido spruzzato d’or
- Io niente ni saccio.
- Ma come niente, se pure stamattina te l’ho fatto leggere sul giornale.
- Io non mi ricordo
- Ah, com’è brutta a vicchiaia
Tu fa che il fervido foco divino
Avvampi ogni anima, bruci ogni cor.
- Poteva venire almeno per il Festino, Filippo! Il lavoro è lavoro, ci mancherebbe, ma quand’è troppo è troppo.
- Attenzione signora Virgilio, che sta passando il carro.
- L’ho visto, Lubjana, mica sono orba, i miei malanni ce li ho, il signore mi è testimonio, ma ci vedo ancora.
Tu che sollecita de la tua terra,
la tua malefica fugasti un dì,
- Accattacillo u torroncino u picciriddo, signò
- No, che ci ha lo stomaco delicato il bambino
- Ma, quando arriviamo?
- Ci manca poco, Anto. La sai quella del cavaliere che un giorno è partito per andare a liberare la principessa prigioniera?
- Com’è?
- Salutò a tutti, e si misi a camminare, e cammina, cammina, cammina…

O pia difendici da fame e guerra
D’ogni altro contagio che ci colpì

SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS, BUUUMMSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS
- Ma che fanno? Già cominciano coi fuochi? Hanno premura quest’anno?
SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSBUUUMMSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSTrackSSSSSS
- Cornuti, sono tutti cornuti
- Ragione c’ha il signore
Fiore aulentissimo oh Rosalia, accogli il palpito del nostro cuor!
- Cornuti, sono tutti cornuti…
- Chi gli ha insegnato l’educazione a lei?
- E le signore buttane
- E staviti zitti! Minchia, se uno un po’ stari tranquillo manco pu Fistinu!
- Ah, quant’è brutta a vicchiaia…

SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSBUUUMMSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSTrackSSSSSSBUUUMMMMTRACKTRACKSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSBUUUMMSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSTrackSSSSSSFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFSSSSSSFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFINE

BUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMM

fine

(A.Conte)

fine della 32^ e ultima puntata
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ogni rifermento a fatti realmente accaduti
o a persone realmente esistite o esistenti
è puramente casuale...

mercoledì 17 marzo 2010

(31) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXXI
Commissario Domenico Cardascio, detto Mimì

- Altavilla, dici che questa volta ce lo danno questo benedetto scivolo?
- Sicuro, commissario. Me l’ha detto la Cherubini stamattina.
- Perché anche la Cherubini andrebbe in pensione?
- La prima, commissario! Da quello che si dice, le cose starebbero in questa maniera. Per ogni anno che le manca per il maturato pensionistico, lei avrebbe una leggera penalizzazione, dicono dell’uno per cento. Lei, com’è combinato commissario?
- Minchia, se ci ho mai capito niente di queste cose. Lasciamo perdere, dai, quando la questione quaglia allora ci pensiamo. Ciao, ci vediamo.

La questura è sempre la stessa, però c’è un nuovo questore. Avanti, non ditemi che non avete capito chi è. Sì, esatto, proprio, lui. Per il resto, non è che sia cambiato niente. Per esempio, la Cherubini è sempre al suo posto e pure Ruvolo, se è per questo. Se proprio volessimo trovare il pelo nell’uovo, diciamo che il clima che si respira è un tantino più tranquillo e rilassato. La dottoressa? Si è trattato di un normale avvicendamento. Ovvio. E’ una delle poche prefetto al femminile. No, non so in quale la città, e neppure mi interessa saperlo.
Cardascio si occupa ancora di denunce anonime ma, da quando la Antocci se ne è andata, non ne arrivano più tantissime. Direttive del nuovo questore: nell’ambito delle opportune misure, utili a meglio concentrare le risorse sugli obiettivi più sensibili per la sicurezza dei cittadini, le dununce anonime sono considerate d’ora in avanti delle fesserie.
L’ufficio è rimasto quello che già conoscete con una differenza, però, che Cardascio non finisce mai di lamentare. Vi ricordate che dalla sua stanza riusciva a vedere un pizzico di cattedrale? Beh, ora non più. Motivi di sicurezza anche questi. Hanno costruito un’enorma antenna che faciliterebbe le comunicazioni fra le varie questure e amen, non si vede più niente. Anzi, il povero commissario è costretto, pure di giorno, a tenete accesa la luce.
Questa mattina deve mettere da parte le carte che vanno all’archivio morto. Spera di sbrigarsi presto, perché ha un appuntamento con Michele Porcarello, in libreria.
Diciamo che arrunza, cioè non è molto attento a selezionare le carte. Le mette a casaccio dentro lo scatolone che gli hanno fornito, tanto visto le direttive del nuovo questore sono tutte fesserie, no?
Fra i fascicoli ha trovato pure delle fotocopie e si chiede se metterle insieme alle altre carte o strapparle direttamente. Ma, perché perderci tempo? Tutto nello scatolo e via! Gli passa per le mani la fotocopia della famigerata relazione di Pignatone. Cardascio evita di ricordare il caso del povero ragioniere Impallomeni. In effetti, non è che sia un ricordo allegro per lui, quindi, come fare a condannarlo se butta via anche quella senza pensarci neanche un attimo?

Amunì che si fece tardi e magari Michele ci resta male. Mi ha fatto la testa come un pallone con tutta quella premura. Chissà poi perchè? Comunque, qui, quello che c’era da fare l’ho fatto. Speriamo solo di non incrociare nessuno per le scale, perché con tutta questa smania che c’è in giro per i pensionamenti finisce che mi tengono a parlare tutta la santa giornata e allora addio appuntamento. Per la cronaca, in città ha piovuto. Anzi, a dire la verità ha proprio diluviato e, a parte il traffico impazzito più del solito, in giro non si vede un’anima. Ah che aria! Valli a capire i palermitani, prima si lamentano che schiattano per il caldo, poi appena cadono quattro gocce d’acqua Dio ce ne scampi! A me, invece, piace l’aria che si respira dopo un bel temporale. D’acqua ne è piovuta assai. Guarda i tombini, mai che li puliscano. Ora, mi tocca saltare di qua e di là per non infradiciarmi le scarpe. Comunque sempre meglio questo del caldo. Nonostante il temporale sia cessato da un’oretta abbondante, le strade hanno mutato il loro aspetto in turbolenti torrenti che, almeno, contribuiscono ad una casuale redistribuzione dell’immondizia accumulatasi nei giorni precedenti per l’ennesima crisi finanziaria dell’azienda cittadina di igiene urbana. Ma, un problema alla volta, l’acqua fa dimenticare il puzzo dei rifiuti, costituendo, però un ostacolo di non poco conto per i pochi, incauti pedoni che si arrischiano ad affrontare le vie delle città. Va bene, lasciamo perdere, le scarpe quando arrivo alla libreria me le tolgo. Tanto qua di saltare per evitare l’acqua non se ne parla. Finisce che mi mette sotto una macchina. Sembrano babbaluci i miei concittadini, appena piove escono tutti, in macchina ovviamente. Ci mancherebbe che il picciriddo mi cade malato o che il nonnò si prende la polmonite. Eccoci qua. Ma che fa Michele? tiene la porta chiusa?

- Cardascio, la finisci di scassarmi la porta, oltre a quell’altro che tu sai,? Ti ho sentito. Non ci sono sordo. Ancora, almeno.
- Ma se il negozio è aperto, me lo dici perché tieni la porta chiusa?
- E hai pure la faccia di venirmelo a chiedere? Dopo quello che è successo?
- Non ne so niente. Che ti è capitato?
- Che mi hanno fracassato il negozio, questo è successo. Quattro scimuniti che manco si sono portati via niente. Solo per il gusto di rompere le palle ai cristiani che lavorano.
- Ma vero mi dici? E quando? La denuncia l’hai fatta?
- Sì la denuncia, ma fammi il piacere Cardascio. Fammi la cortesia, attaccati il parrapicca, tu e tutti i tuoi colleghi.
- Mi dispiace Michè . Ma chi è stato?
- Te l’ho detto, quattro picciottelli, tre giorni addietro. Facevo una delle mie presentazioni e ti vedo arrivare questi qua. Certo non sono interessati al libro, mi sono detto. Va bene, forse vogliono approfittare del rinfresco. Per quello che c’era poi. Appena l’autore ha finito di dire quelle quattro cazzate che doveva dire, è cominciata la fine del mondo. Libri che volavano, signore che scappavano, un vero putiferio. Morale della favola, un danno di trecento euro almeno. Questo è il guadagno che ci ho rimediato. E tu mi vieni a chiedere perché tengo la porta del negozio chiusa? Che gli devo dire, accomodatevi?
- Ora calmati, l’importante è che non si è fatto male nessuno.
- Ah per questo, no solo spavento e i miei trecento euro. Lo sai tu quanto ci metto per guadagnarli trecento euro?
- Dai, e che non lo so che i libri non li compra più nessuno. Che solo i gialli si vendono. Lo so. Ma perché tutta questa premura di vedermi? Mi dovevi dire di quello che ti è successo?
- No, quello non c’entra niente. Ho chiamato tutti i clienti più affezionati della libreria. E tu mi pare che ci sei fra quelli affezionati, che ne dici?
- Ho capito, sono un cliente affezionato, e che dovevi dirgli ai clienti affezionati?
- Che chiudo, Cardascio. Ho deciso, ho quattro soldi da parte e me li farò bastare. Per quello che mi serve a me.
- Com’è che chiudi? E perché? Lo fai per quello che è successo? Ma finiscila, non fare il picciriddo. Succede sempre così all’inizio. Sei scantato, ma poi ti passa. Senti a me, poi passa.
- Ma che minchiate vai dicendo? Come al solito non mi stai a sentire. Te l’ho detto e te lo ripeto, quello che hanno fatto quei quattro scanazzati non c’entra niente. Sono io che mi sono stufato.
- Ma stufato di che cosa? Mi hai sempre detto che i libri sono stati la tua passione della vita e che la libreria era il meglio mestiere che ti poteva capitare. Te ne stavi tutto il santo giorno a leggere, che è la cosa che ti piace fare di più, e ci campavi pure. Meglio di così!
- Non me lo sono scordato quello che ti ho detto, Cardascio, e quando te l’ho detto, ci credevo veramente. Te lo giuro. Ora, però, non ci credo più, va bene?
- E con questo pensi di chiudermi la bocca? Eh no, amico caro, ci deve essere qualche altra cosa che non mi vuoi dire. Non insisto, ci mancherebbe. Sono fatti tuoi e tu sei padrone di parlarne o di tenerteli dentro.
- Non ti basta? Vuoi che ti dico tutta la verità? Allora, stai a sentire che te la dico davvero. Lo sai quanti anni ho, Mimì? Sessanta, hai capito? Ho sessanta anni e quasi quaranta li ho passati a leggere e a guadagnarci pure, come dici tu. L’altro giorno tutto quello che per una vita ho tenuto fuori dalla porta, mi è entrato in casa e ha fatto quello che ha fatto.
- Ah, lo vedi che c’entrano quei quattro farabutti!
- Ancora ci insisti! E statti zitto una buona volta! Tu e il tuo intuito di investigatore del cazzo! Stammi a sentire. Mi sono scantato, non lo posso negare. Ma, non è lo scanto che mi fa chiudere. No, guarda, se li vedo li ringrazio pure a quei tre sfasciallitti. La verità è che qua dentro è stato come vivere in un altro mondo. E tutti quanti ci venivate perché volevate chiudere gli occhi e lasciare fuori tutti quelli che non la pensavano come noi. Ma non ha stufato pure a te Cardascio questo modo di pensare e di campare?
- Ma che stai dicendo? Proprio non ti capisco.
- Ti sto dicendo che mi sono rotto la minchia a stare qua dentro a parlare con tipi come te o come tutti i miei clienti più affezionati. Voglio uscire e parlare con quelli che mi hanno scassato il negozio. Con quelli voglio parlare, Cardascio, perché se no…niente lasciamo perdere, che è meglio. Se non ci arrivi da solo, non sarò io ad aprirti gli occhi.
- E no, prima cominci un discorso e, poi, mi dici che è meglio lasciare perdere. Questo non è corretto, questo non me lo merito dopo tutti questi anni di amicizia.
- Dici che lo vuoi sapere? Va bene, te lo dico. Succede che cacheremo sangue, Mimì. L’hai capito o no? Ci ritroviamo qua ogni settimana, magari ti offro il caffè e ci diciamo che tutto quello che sta fuori è uno schifo. E allora, caro amico? Certo che è uno schifo, chi lo nega? Ma dimmi la verità, che cazzo ci stiamo a fare noi mentre finisce tutto a schifio?Oh, sì certo quando ci incontriamo siamo contenti perché ci specchiamo l’uno nell’altro e abbiamo la conferma di avere ragione. Può capitare che quando te ne esci con un libro in mano ti senti meglio per una mezzora. Il tempo di incrociare l’ennesimo porco maleducato che ha imbottigliato la tua macchina, posteggiando in seconda fila sullo scivolo per gli handicappati e, magari, anche sulle striscie pedonali. Ma, che ci abbiamo conluso fino ad ora con i nostri bei discorsi, me lo sai dire? Una fumeria è diventata questo posto, amico mio, dove ci scambiamo l’oppio a vicenda per scordarci che dovremmo uscire di nuovo per la strada, chi prima e chi dopo per capire che sta succedendo veramente, magari prima che sia troppo tardi per porci rimedio.
- Che c’è di male a fare due chiacchere con un amico che la pensa come te?
- C’è di male che stiamo facendo la muffa e le ragnatele. E a me non mi interessa più.
- Ma che cavolo sta succedendo? Non lo senti quest’ammuinio?

Succede quello che doveva succedere. Ve lo siete scordato il gatto morto che il commissario ha dovuto evitare per entrare in libreria l’ultima volta che è venuto da queste parti? Dite, che c’entra il gatto morto con tutto questo putiferio? C’entra, eccome se c’entra. Ve lo siete chiesti perché il gatto era morto? Io lo so e ora ve lo dico. Il gatto era morto avvelenato. D’accordo, succede che i gatti mangino cose che non dovrebbero mangiare e ci restino stecchiti. E’ vero, ma non è questo il punto. Il nostro gatto ha mangiato una delle esche che i nostri solerti addetti alla pubblica igiene lasciano qua e là per i topi che da queste parti abbondano. Ora, quando piove saltano i tombini, almeno qui da noi succede così. E questa volta è piovuto veramente assai, cosìcchè i tombini sono saltati proprio tutti. Detto per inciso, qui è meglio che ci mettiamo al sicuro perché finisce male e non solo per l’acqua. Li vedete i sorci che scappano dalle fogne? Sì sono davvero belli grossi, non c’è che dire. E sono davvero tanti. Gli addetti all’igiene urbana avevano voglia di spargere esche, qua ci vorrebbe l’incendio di Londra ci vorrebbe. E sono in buona compagnia, vedo. Almeno quelli l’acqua dovrebbe sterminarli, perché a differenza dei topi non sanno nuotare. Come chi? Gli scarafaggi. Ah, non ve ne eravate accorti? Sì, tutte quelle macchie scure sull’acqua sono scarafaggi. Vediamo se quella signora alla finestra ci fa la cortesia di aprirci il portone. Minchia che puzzo insopportabile. Acqua di fogna è, mica acqua di colonia!
Tranquilli, che fra un poco si rimette tutto a posto.

Visto? Che vi avevo detto? L’acqua è finita chissà dove e i sorci sono tornati alle loro tane. Finchè dura, tutto è bene quello che finisce bene, siete d’accordo?
Dite che prima ho esagerato? Che volete farci, qui noi siamo tragediatori. Che vuol dire? Vuol dire che di ogni fesseria ne facciamo una tragedia. Magari per scordarci di quelle vere.
Guardate, anche Cardascio sta uscendo dalla libreria.

Che dite? Che non abbiamo detto niente del commissario? Azzo, è vero. Però, ora ce l’avete davanti. Forza. Non vi viene niente da dire. Certo, il commissario è uno come tanti, ne’ alto ne basso, ne’ grasso ne’ magro. Ha i capelli quasi tutti bianchi, porta gli occhiali e ha i baffi. E’ poco? Pazienza che ci posso fare se Cardascio è quello che è.
Però se abbiamo fortuna, lo rivediamo un’altra volta e allora, magari, avremo più tempo per conoscerlo meglio, se davvero ci tenete. Mi hanno detto che è arrivata un’altra lettera anonima su una monaca pazza e indemoniata che starebbe in un vecchio convento di via Cappuccini.
(Accì)

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sabato 13 marzo 2010

(30) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXX
Il dottor Virgilio, don Cimò e Ciccio Martirano

Ma tu guarda chi si vede! Com’è piccolo il mondo! Non è il dottore Virgilio quello lì? A me pare proprio lui. Certo che sembra davvero un’altra persona, ma ci metterei la mano sul fuoco che è lui. Se non fosse stato per le pretese assurde che avete, mi sa che lo avremmo perso di vista per sempre. Chi ci deve venire in questo buco di posto? Lo so, lo so che c’è una basilica bizantina e che è la meglio conservata del sud Europa, ma venirci solo per questo ce ne vuole con tutto quel ben di Dio che abbiamo da vedere in Sicilia. Comunque, grazie, anche perché mi piacerebbe togliermi delle curiosità che mi sono rimaste sullo stomaco.
Innanzitutto, mi piacerebbe sapere che ci fa il dottore Virgilio da queste parti.

Dopo quello che è successo non è che potevano darmi un calcio in culo ed amen. Se la sono pensata bene e mi hanno promosso. Sì e che non lo so che questo antiquarium è proprio il cesso che non voleva nessuno? Certo che lo so, però formalmente è una promozione. Sono il nuovo direttore dell’antiquarium di *** e rispetto al posto che occupavo alla sovraintendenza è una promozione. Azzo se lo è, mi hanno pure ridotto lo stipendio quei cornuti! Comunque, a me sta benone lo stesso, pure se, ogni tanto - spesso e volentieri a dire il vero - devo aprire io il museo perché, a parte il sottoscritto, l’organico prevede solamente il signor Carmelo, custode e assenteista, e la signora Cinzia funzionaria, per cui certe cose non le può fare. Tuttavia, volete mettere con la situazione di prima? E’ vero, qui devo fare i conti ogni giorno con il signor Carmelo, un altro di salute cagionevolissima, ma di sicuro, non quanto quella di mia madre, che, detto per inciso, mi dicono abbia ripreso pure ad uscire di casa. Solo per andare a messa, ovviamente. Comunicarle la notizia del trasferimento è stata una tragedia. Però, dato che l’esperienza qualche cosa l’ha insegnata pure al sottoscritto, quando alle grida straziate annuncianti morte imminente, ho fatto presente che si trattava di lavoro, se ne è fatta una ragione. Per mia madre due soli motivi sono validi a giustificare l’abbandono di un genitore in punto di morte, il lavoro e il matrimonio. E difatti, eccomi qua.

Forza che se ne sta andando. Come che ho intenzione di fare? Ve l’ho detto o mi sbaglio? Mi piacerebbe che il dottor Virgilio mi chiarisse delle cose. Dite che non si può fare? Che va contro tutte le regole? Che la voce narrante non si può mettere a chiacchierare coi personaggi? Ma via, fatemi il piacere! E poi, pure se fosse, non me frega un bel niente.

Che vuole che le dica? All’inizio, è stato davvero un incubo. Sono stato avventato, non lo nego. Però, in coscienza, credo di meritare le più ampie attenuanti. Viene Impallomeni e mi dice che quel coccio fasullo ce l’ha messo qualcuno per bloccare tutto. Io ci credo anche perché il coccio in effetti era un falso. Poi, mi viene quell’idea balzana del nuovo sopralluogo per mettere una pietra sopra alla faccenda. E fin qui andrebbe tutto bene. Che ti combina, però, quella serpe velenosa di Perez? Guardi, mi dice, io proprio non potrò esserci, mi fa la cortesia di sostituirmi? Messa in questi termini, lei cosa avrebbe fatto al mio posto?
Chi poteva saperlo? un’intera necropoli punica è venuta fuori da quel maledetto sopralluogo! E che cavolo! I colleghi, prima di me, avevano effettuato rilievi e saggi a non finire. Lei dice? Sì ci ho pensato anch’io. Che vuole, un poco di esperienza in questi anni me la sono fatta. Mai sottovalutare chicchessia. Ha perfettamente ragione. Dice che dovevo tenermelo per me quello che ho trovato e stare zitto? Può darsi, anzi visto come sono andate dopo le cose, ha perfettamente ragione. Invece, mi sono detto, guarda che di cocci ne hanno messo più di uno quei cretini. Badi bene, non è che qualcuno mi abbia mosso qualche rimprovero. Improvvisamente, però Perez non ha più avuto tempo per ricevermi. E io mi sono trovato con quel coccio in mano che bruciava più di un cerino acceso e una relazione, che dovevo – e sottolineo dovevo – scrivere, dopo che avevo fatto la minchiata di farlo vedere agli altri componenti della commissione.
Come è andata a finire con il progetto? Non ne so niente e niente ne voglio sapere. Già ho sbagliato una volta a non canziarmi. Ora basta! Qui ci sto benone e spero che mi dimentichino presto tutti quanti, compresa mia madre. Anzi, mi faccia la cortesia di andarsene pure lei.

Ma che mischino e mischino! A me pare davvero un gran maleducato questo dottore Virgilio. Deve ringraziare chissà chi se le cose gli sono andate alla grande. Così, almeno, la racconta lui. Poi, vallo a sapere qual è la verità. Ora muoviamoci che ho premura e abbiamo ancora delle cose da fare. Tornare in città, per esempio, e farvi vedere il famoso convento dei frati dell’Incoronazione dato che ci tenete così tanto. Dite che le cose non stanno esattamente così? Che questo giro ve lo sto imponendo io perché a voi non interessa sapere com’è andata a finire con gli ospiti di Cardascio alla caffetteria Rizzo? D’accordo, lo ammetto, ma speravo che ormai un pochino mi aveste capito. Sono all’antica, va bene. Mi piacciono ancora le storie come si raccontavano una volta. Sicuro e chi lo nega? Ma, almeno voi che ci siete, mi dispiace, dovrete seguirmi. Gli altri? Vallo a sapere, se ce ne saranno di altri.

Eccoci qui. Però, che grandi trasformazioni! Mi sa che il convento ve lo potete scordare con tutte queste impalcature. Meno male, guarda tu i casi della vita, don Raffaele, almeno lui, c’è.

Il progetto? No, la necropoli, o quello che era, non ha costituito un problema insormontabile. Questo, però, lo si è capito solo dopo. Dopo cosa? Ah, scusate, voi non ne sapete niente. E’ vero. Allora, la scoperta diciamo che ha dato il colpo di grazia definitivo alle mie speranze. Beh, diciamo che è andata come il Signore ha voluto. La congregazione ora non esiste più. Il Vaticano ci ha messo il tempo necessario, ma la bolla del Papa è arrivata. I vecchi sono all’ospizio della nostra archidiocesi. Sì, compreso, don Ermete . Poverino, non voleva rassegnarsi, ma le regole sono regole e valgono per tutti. Io che fine ho fatto? No, non mi hanno permesso di curare il passaggio dei beni della congregazione. Sì, lo capisco, il fatto di essere qui lo farebbe pensare, ma non è andata così. Del resto non ci tenevo. Lavoro in seminario. Mi è sempre piaciuto occuparmi dei giovani. Certo non sono proprio i giovani che volevo io, ma bisogna pure addubbare, accontentarsi, come si dice qui da noi. Se mi sono addubbato fino in fondo? Volete proprio sapere la verità? No! Mi è rimasta una rabbia dentro che non vi posso dire, Dio mi perdoni. Continuo a chiedermi cosa ci sto a fare il prete se mi accontento,ma risposte ancora non ne ho trovate.

Se non è uno tosto questo qui, chi mai lo sarà, dico io. Però, come ve lo devo spiegare, mi viene come un peso qui, alla bocca dello stomaco a sentire cose del genere. Perché? E come perché? Uno si canzia, un altro s’addubba, suo malgrado, ma s’addubba, dove andremo a finire? E ci resta ancora quel povero cristo di Ciccio Martirano.

All’inizio stare in carcere è stata una scoppola niente male. Qua dentro, i fatti degli altri si sanno subito. Così, nei primi tempi, ho dovuto camminare con le spalle radenti ai muri. E non è che me la sono scampata tutte le volte. Che ci volete fare, mica sono un eroe io. Però, almeno questa volta non mi sono fatto fregare. E’ vero, ho dovuto fare come la canna del famoso proverbio. Mi sono dovuto calare in tutti i sensi, con rispetto parlando, ma, i fidanzati me li sono scelti fra quelli che contano. Così, male non me la passo. Quanti anni mi hanno dato? Ventidue. L’avvocato mi ha detto che mi è andata bene. Boh? Io di queste cose non è che ne capisco granchè. Mi ha assicurato che se mi comporto come si deve fra massimo quindici esco. Sì avrò quasi quaranta anni. No, non me lo immagino come potrà essere e neppure ci voglio pensare. Per quale motivo poi? Per ora sono qua e qua devo restare. Se mi rode di starci senza avere fatto niente? Altro che se mi fa incazzare! Qua dentro, però, dicono tutti così, che non hanno fatto niente. Alla fine, che volete, mi confondo pure io e penso di essere come gli altri. No, che minchiate andate dicendo, lo so che Impallomeni non l’ho ammazzato. Ma, non è che posso continuare a dire in eterno, guarda sarà come dici tu, ma io non ho ammazzato nessuno. Non ci mettono niente a farmi la pelle, fidanzati e non fidanzati. A casa? Mi è rimasta solo mia madre. Viene sempre quando può povera donna e non mi fa mancare niente.
Arrivederci, statemi bene e, se vedete il commissario Cardascio, me lo dovete salutare tanto e gli dovete dire che io rancore a lui non ne porto. Lo so che lui mi ha creduto. Arrivederci.

Con Martirano abbiamo finito, mi pare. Non chiedetemi niente, per favore. Che volete che vi dica che qua i buoni perdono sempre e altre minchiate di questo tipo. Va bene, perdono sempre. Vi meravigliate? cosa dovrebbero fare con i cattivi, un povero prete, un impiegato scafato, ma imprudente e un frocio ingenuo? Ditemelo? Ah, non ce la fate? E allora fatemi il sacrosanto piacere di starvene zitti.
Ah, scusate, scusate, mi dicono che non abbiamo ancora finito. C’è rimasto Cardascio.

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venerdì 12 marzo 2010

9. Gli oggetti

E così sono arrivata al fatidico momento: quello di sgombrare la casa, perché la sto vendendo.
Il mio viaggio in Venezuela doveva durare uno o due mesi, ed invece è durato 35 anni. Anzi il mio non è stato un viaggio, è stata la mia
vita per tanti anni. Ho pure preso la nazionalità, ho avuto una figlia, ho lavorato in fabbrica, ho fatto mostre ed ho avuto ed ho amici. Ho avuto discussioni e meravigliosi momenti felici. Amori ed antipatie, come avrei potuto averli a Palermo o a Genova o in qualsiasi parte del mondo.

Quindi questo pezzzetto di diario, è quello degli oggetti. Già gli oggetti, quanta importanza gli abbiamo dato: una cartolina di un amore in viaggio dove, dietro la scrittura leggevi tante parole
appassionate e ti riempiva il mondo. I disegni di quando mia figlia era piccola, e la sua passione erano i Troll. Per cui disegnava questi mostruosi esseri con i capelli colorati e gli occhi vuoti. Ma…erano così teneri!

Libri in italiano: quando ero fanatica di Patricia Highsmith, poi la fase di Carlos Castaneda , i libri di viaggi ( che non abbandonerò), i viaggi di Colombo, quelli di Humboldt barone tedesco, appassionato esploratore,una mia passione, che viaggiava e misurava le montagne ed
i vulcani del SudAmerica e raccoglieva dati e farfalle. Il libro del Venezuela scoperta dai viaggiatori Europei, gli sgabelli a forma di tigre degli indios Makiritare . Le cronache dei conquistatori, di Frà Bartolomè de Las Casas vescovo Spagnolo,che che fu lunico a difendere gli indios « Tutta questa gente di ogni genere fu creata da Dio senza malvagità e senza doppiezze [...]. »

Libri sulle farfalle venezolane, sui serpenti, sugli uccelli e le orchidee che cresono selvatiche sugli alberi e sui prati. Ricette di Margarita, i ristoranti di Caracas. Biglietti da visita dei ferramenta, di quelli che fanno le spedizioni internazionali, di un amica o amicho che chissà dov’è adesso. Prima di cominciare a scrivere, mi sono fatta una meravigliosa doccia sulla terrazza al buio, le stelle su di me ed il profilo dell’Avila e delle palme che si muovono pianissimo. Questi non sono oggetti ed oggi avvolgono ed accarezzano i miei sensi.

Gli oggetti?
Quelli ad un certo punto perdono di significato, si riempiono di polvere e, serviranno di più a qualcun altro, ma questa sensazione di benessere dell’acqua che mi scorre addosso è soltanto mia ed è di questo istante. Quindi, tutto passa, anche gli oggetti che a volte ci sembrano eterni.
Se io fossi Garcia Marquez, li trasformerei in meravigliosi sogni surreali o forse in abitanti silenziosi di case ormai divorate dalla selva.
Ma preferisco disfarmene e trovarne degli altri.

(alessandra vassallo)

mercoledì 10 marzo 2010

(29) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXIX
Caffetteria Rizzo III
Ciccio Martirano

- Ehi, Martirano, dai che fai? Ti metti in soggezione? vieni, non fare il picciriddo. Siediti qui accanto a me. In questo bar per fortuna si sta benone, non ti pare?
- Grazie, commissario, troppo gentile.
- Va bene, Ciccio. Ora datti una calmata. Se vuoi sfogarti sfogati, ma devo dirti che purtroppo non abbiamo molto tempo. Hai sentito pure tu la telefonata di prima. Il questore vuole che torni immediatamente in ufficio.
Finalmente il picciottello ha potuto piangere sulla spalla, si fa per dire, di qualcuno le lacrime che si era tenuto dentro dalla famosa disgrazia. E in verità, chi avrebbe potuto offrirgliela questa benedetta spalla? Fra quelli che conosce, nessuno. Ciccio non è che non ci abbia pensato, passandoseli tutti in rivista, ma, alla fine, non si è deciso e, magari, ha fatto pure bene vista la sua situazione.
Comunque, Ciccio ora, picciotto com’è, si sta riprendendendo subito. All’età sua che volete, non è che non si soffra per i dolori della vita. Però è come se la vita stessa fosse programmata per farglieli scordare in fretta. Hanno troppe cose da fare i giovani per farsi bloccare dai dolori. Poi, con gli anni la sofferenza può anche tornare, ma ormai quello che andava fatto è stato fatto. E se non lo è stato, non resta più tempo per farlo.

- Ma me lo vuoi spiegare perché proprio una lettera anonima alla questura?
- Ero scantato e non sapevo che pesci pigliare. Il coraggio di venirla a cercare non ce l’avevo. Così ho scritto la lettera.
- E ti sei sforzato assai! Due righe e stop. Per dire cosa poi? Che Quartararo non era fissa come sembrava? Me n’ero accorto già la prima volta che sono venuto all’hotel. La poteva mandare chiunque quella lettera, come potevi pensare che sarei arrivato a te, me lo dici?
- Quartararo è maligno commissario e io avevo paura che mi potesse tradire.
- E così hai fatto la bella pensata di coinvolgerlo taci maci, è vero?
- Mica le potevo scrivere una lettera normale.
- Abbiamo capito; acqua passata non macina più. Ora torniamo a noi, Ciccio, che si fece tardi.
- Signor commissario, a me quelle cose non mi sono mai piaciute. Mi deve credere.
- Stai tranquillo Martirano, perchè non dovrei crederti? Però, fammi il santo piacere di dirmi com’è andata questa benedetta faccenda. E’ mezzora che ci giriamo attorno, Cristo santo!
- Sì, sì avete ragione. Ora ve lo racconto com’è andata. Ma dovete credermi, non è facile ricordare certe cose. Allora, ci eravamo messi d’accordo che mi avrebbe raggiunto all’albergo. Io, commissario, non ci volevo andare a casa sua per via dei contrasti con le figlie. Pensavo che non era il caso di farle incarognire più di come erano già di suo. Lui magari ci restava male, però alla fine me la dava vinta. Così, pure quella volta ci siamo visti al Mozart. Quartararo sapeva tutto e magari Vitangelo ci aveva pure parlato. Così non faceva storie. Si prendeva i suoi piccioli, come con gli altri clienti, e mi lasciava libero quell’oretta che ci serviva per fare le nostre cose.
L’avevo capito che sarebbe andata in quel modo perché ogni volta che ci veniva lo sfizio di farle quelle cose, si portava appresso una valigetta. E quella volta ce l’aveva. Io dovevo restare in camera e, se volevo, potevo cominciare a spogliarmi. Lui, invece, si chiudeva nel bagnetto e prima di uscire mi chiedeva di accostare le imposte della finestra. La sera della disgrazia si era messo un vestito che non gli avevo mai visto prima. Era vecchio,senza essere sciupato, vecchio come modello. Di solito, si metteva quelli della moglie, vestiti di dieci, ventanni fa. Quello era diverso, lungo, elegante e in testa aveva un cappellino con la veletta. Ormai, mi deve credere, commissario, io non riuscivo manco più a ridere di quelle stranezze. Ci avevo fatto l’abitudine, ma a vedermelo davanti con quello strano vestito quasi quasi mi stava scappando una risata come la prima volta che l’avevo visto vestito da donna. Lo sapevo, però, che ci restava male e allora la risata mi si è strozzata in gola.

Azzo se questa non è bella! Avesse, in fondo in fondo, avuto ragione la Antocci? Babbi che siete, ma che fate ci credete? Mi ci vedete a farmi scrupolo di un anziano ragioniere vestito come la nonna del canarino Titti? Come Titti chi? Ah, va bene, ora i cartoni animati sono diversi. D’accordo, ma non chiedetemi di spiegarvi chi è questo canarino Titti. Chi lo sa lo sa, chi non lo sa o si informa o niente. Tanto non è che sia questo il problema. Comunque, il povero Impallomeni, oltre ad avere scoperto alla sua bella età che gli piacevano i maschi - che una minchiata da niente, proprio non è - a quanto pare si era fatto i suoi bravi conti in tasca, concludendo che se faceva trenta perché non fare trentuno? Visto che con i picciottelli ci andava già, perché non vestirsi da donna, considerato che gli piaceva? Tanto che differenza poteva esserci alla fin fine?

- Va bene, Martirano, l’ho capito. Ma spicciamoci per cortesia che sono già in ritardo. Dopo che è successo?
- E’ successa la disgrazia commissario. Questo è successo.
- E dagli con sta disgrazia, Martirano. Precisamente cosa è successo?
- Che abbiamo fatto le nostre cose. Commissario, mi dovete credere, lui aveva sessantacinque anni, ma aveva più voglia di me. Poi, quella sera, non ve lo posso spiegare che cosa gli è preso. Non la finiva più. E facciamo questo e perché non facciamo quello. Che vuole commissario non è che sono Rocco Siffredi. Mi piace farlo, ma mi piace di più quello che viene prima o dopo. Lui invece, quella volta, voleva solo quello che sta in mezzo, con rispetto parlando. E ho dovuto accontentarlo. Minchia una furia pareva. Qualche film di quelli porci con le femmine l’ho visto pure io, prima di scoprire che ci sono anche quelli per i gay. Dovete pensare a una come quelle lì, assatanata, che sbatteva la testa di quà e di là. E, cazzo, non doveva togliersi niente. Doveva farlo con tutti i vestiti, compreso quel maledetto cappello che si era messo in testa. Non so se l’avete presente commissario. Era una cosa piccola e leggera, di tulle color panna con piccoli fiori finti di diversi colori. Per tenerlo fissato ai capelli ci aveva uno spillone, me lo ricordo come se fosse oggi, con l’impugnatura di bachelite viola.
- E allora, Martirano? Allora?
- Allora l’ho detto commissario che sembrava un pazzo. Si è girato, mi avete capito commissario, e di botto si è lasciato cadere con la faccia sul cuscino. Le giuro che, all’inizio, non mi ero accorto di niente. Poi ho visto il sangue. Dio santo, quanto ce n’era. Il cuscino e poi il lenzuolo sono diventati rossi in pochi minuti. E io come uno scemo che me ne stavo a guardare senza fare niente. Ora lo so che non c’era più niente da fare da subito. Ma in quel momento, che volete, non ci stavo più con la testa.

Oh, Signore! Ma, queste cose succedono davvero? Oltre che nei romanzi, s’intende. Dite che vi pare inverosimile. Certo una cosa che succede tutti i giorni proprio non lo è. Ma, a parte il fatto che non stiamo parlando di un fatto di cronaca, dite che può risultare convincente? Forza che la cosa è importante. Dite che sì, magari non è proprio una grande trovata, ma si può passare? Meno male, temevo di peggio. Ma in fondo, chi se ne frega. Le cose qui sono andate come le ha raccontate Ciccio Martirano. Non vi convince? Non vi piace? E che volete che vi dica? Pazienza.

- Ah, quindi Impallomeni sarebbe morto così? E speri che ci creda?
- Lo giuro, commissario, è successo tutto proprio come l’ho raccontato ora. Pure a me sembra una cosa incredibile. Ma è proprio così che è andata.
- D’accordo, stai calmo Martirano. Faremo le nostre verifiche e vedremo. Ora finisci di raccontarmi cosa è successo dopo.
- E’ successo che è entrato nella stanza Quartararo. Io lo sapevo che quel porco ci stava a guardare e l’avevo anche detto a Vitangelo. Ma lui - in questo come dargli torto?- mi rispondeva che se a casa sua non ci volevo andare, dove avremmo potuto stare tranquilli, per la strada?
- Va bene, è entrato Quartararo e poi?
- Poi ha voluto che gli rimettessimo i vestiti da maschio. Io non capivo niente. Ho fatto tutto quello che mi ha detto di fare. Comunque, l’abbiamo rivestito e portato dove l’hanno ritrovato, in via Chiavettieri.
- Come mai gli avete lasciato dentro l’occhio quello spillone?
- Che vi devo dire, commissario, io non ragionavo. Quartararo mi diceva di fare e io facevo.

Scusate, ma per me questo significa ragionare a cazzo di cane. Ora è chiaro perchè Cardascio c’è rimasto male con la Antocci. Ci saremmo rimasti male anche noi sapendo quello che lui aveva appreso da Ciccio Martirano. Ma, no, oggi, non si usa più così. Si fa un passo avanti per poi tornare indietro a rotta di collo. Contenti loro, che vi devo dire? Comunque, siamo qua e ci restiamo. Ciccio Martirano alla fine si è deciso. Per me ci ha perso tempo. Magari troppo, vista la piega che ha preso la faccenda. Questo ragazzo pare che la sfortuna se la vada a cercare. Il padre non se l’è scelto lui e neppure quello che gli piace a letto. Questo è vero. Ma, è troppo orgoglioso e il troppo stroppia. Per esempio, Attilio Martirano è quello che è, però su una cosa aveva ragione e i fatti l’hanno dimostrato. Il lavoro all’hotel Mozart non era cosa per Ciccio e neppure le persone che ci giravano attorno, a cominciare dal padrone, quel caino di Quartararo. Però, questo ancora Ciccio Martirano non lo sa. Ci mancherebbe che alla strizza di parlare con un commissario si aggiungesse la chiroveggenza. Per fortuna, queste cazzate di anticipare i fatti succede solo in certi romanzi e in certi film. Nella vita è diverso, ringraziando il cielo!
Resta il fatto che Quartararo è proprio un gran figlio di buttana. Prima ha fatto l’amico aiutando, si fa per dire, Martirano a levarsi dall’impiccio del cadavere del povero ragioniere e poi è corso in questura a denunciarlo. Dite che la faccio troppo spiccia. Ora non dovete offendere. Pure io so che non è chiaro il perché Quartararo ha fatto quello che ha fatto. Però l’ha fatto e da questo si capisce perfettamente che doveva averci il suo bravo interesse. Dite, ma di che interesse si parla? Ah, questo non lo proprio.
Ma toglietemi la curiosità, vi interessa veramente saperlo?

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sabato 6 marzo 2010

(28) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXVIII
Piazza Vittoria
Cardascio e la dottoressa Antocci

Minchia se ha la testa dura quella!
Per una volta, almeno, non siamo solo noi a scapicollarci a destra e a manca. E’ toccato pure a Cardascio e vi confesso che la cosa mi fà piacere. Mi pare troppo male abituato il nostro commissario che si fa le sue undagini comodamente seduto al tavolino di un bar. Correre, scattare, questo ci vuole! Comunque, siamo di nuovo a Piazza Vittoria, dove ha sede, ormai dovreste saperlo, la questura. Nella fretta di muoverci mi sono scordato di dirvi che per smuoverlo dalla Caffetteria Rizzo c’è voluta una telefonata del questore in persona, la nostra dottoressa Antocci, che, come è usa fare, non ha sentito ragioni. Inutile dire che era nel mezzo di un colloquio importante con un testimone. Niente da fare, il commissario Cardascio doveva, immediatamente, venire in questura per comunicazioni che riguardavano il caso Impallomeni.
Certo che un poco incazzato c’è Cardascio. Sfido chiunque a non esserlo con un’arpia come quella. Però quello che ha saputo da Martirano l’ha in qualche maniera sollevato. Zero a zero e palla al centro! Se poi ci metteva pure le rivelazioni di Virgilio la proroga delle indagini non la si poteva negare a nessuno.

- Ma che è tutto st’ammuinio, Altavilla? Che ci fanno qua i giornalisti? La Mobile ne ha preso un altro di quelli grossi?
- Buon giorno commissario. Non si tratta della Mobile. La dottoressa ha convocato una conferenza stampa.
-E su che cosa? Ne sai niente?
-Guarda Cardascio, lo sai com’è la Antocci. Mi hanno detto che stamattina è arrivata come una furia e si è messa telefonare a questo e quello. Poi, verso, mezzogiorno, è venuta fuori la notizia della conferenza stampa. In più, tutti consegnati in questura. E ora come faccio con mia suocera che mi esce dall’ortopedico?
- Avanti, Altavilla, come se non lo sapessi che qui non si può ammucciare niente. Forza, di che si tratta?
- Guarda che non c’è niente di sicuro. Le solite voci che girano. Ma, non ti ha convocato proprio il questore? E chiedilo a lei direttamente, che stai a perdere tempo con le minchiate che si dicono in giro!
-E che cazzo Altavilla, sto fuori per cercare di sbrogliare questa matassa ingarbugliata di Impallomeni, torno e mi ritrovo sto gran casino. Dai cosa ti costa dirmelo?
- Azzo se sei insistente, Cardascio! Va bene, però, poi non rinfacciarmi di non aver fatto di tutto per evitarti questo boccone amaro. Si tratterebbe proprio del caso Impallomeni. Pare che il caso sia stato risolto e che manchi poco alla cattura dell’assassino. Se già non l’hanno preso.
- Ma che vai minchionando Altavilla? Se ci ho parlato manco mezzora fa con la Antocci proprio di Impallomeni. E poi chi cavolo l’avrebbe risolto sto caso se le indagini le sto facendo io?

La signorina Cherubini è tutta arzilla. Sente l’aria delle grandi occasioni e, pur se vestita come usa fare di solito, basta questo per farla apparire un’altra persona. Non si muove per l’anticamera, danza sulle punte. Non risponde al telefono che squilla in continuazione, canta un’aria d’operetta. Proprio un’altra persona. Ruvolo, in questi casi (pochi per la verità) la guarda incantato e maledice la sua cattiva sorte di usciere maritato. E la fascinazione Cherubini non si arresta al solo usciere ma contagia tutti. Chi la vede in questo stato di grazia ne subisce un benefico effetto, quasi un lenitivo per le pene banali che ciascuno si porta appresso alzandosi la mattina. Una persona fa eccezione, non apprezza l’aria nuova e salutare che si respira nell’anticamera del questore, ne’ si accorge della incredibile trasformazione che si è operata nella persona della sua segretaria. Ovvio che ci siete arrivati. E’ Cardascio e troppo pesante è l’incazzatura del commissario per fargli apprezzare quello che pare tutti apprezzino. Non saluta neppure, ma direttamente chiede della dottoressa Antocci e mentre la Cherubini cerca di rompere l’assedio delle chiamate in entrata sul telefono del questore per avvertire che il commissario è arrivato, Cardascio passeggia nervosamente senza guardare in faccia nessuno.

- Finalmente, Cardascio. Dunque, si è degnato di venire. Bene, mi fa piacere. Mi fa veramente piacere. Come vede qui non perdiamo tempo. Qua si lavora per la sicurezza dei cittadini. Mentre certuni, mi capisce vero? Dicevo certi funzionari di polizia se ne stanno al bar! Comunque, l’importante è il risultato e quello ce l’abbiamo Cardascio.
Il commissario non può tradire Altavilla. La Antocci ha pure la pessima fama di scoprire sempre chi spiffera quello che dovrebbe restare riservato. Quindi, non sa come reagire alla sfuriata del questore. Azzarda, Le ho già detto al telefono poco fa che stavo interrogando un testimone e che le cose che mi stava rivelando avevano un certo peso nelle indagini Impallomeni.
Mai replicare alla Antocci e Cardascio dovrebbe saperlo molto bene, però ci casca sempre. Il questore non cambia mai il copione della sua sceneggiata. Per l’intanto ti dà addosso, tanto poi si vede. Quindi, ribattere ha il solo effetto di farla convincere delle sue buone ragioni, quando, invece, in partenza, convinta non lo era affatto.
- Gli interrogatori, caro il mio Cardascio, si fanno qui in questura. E’ chiaro! E poi mentre lei continuava con le chiacchierate con i suoi compagnucci di osteria, qui, invece, si lavorava e i risultati sono arrivati. Eccome se sono arrivati. Non si sforzi più di quello che si è sforzato, commissario, perchè ormai non c’è ne è più di bisogno. Il caso è risolto e, fra poco, avremo arrestato l’assassino. Per me lei ha finito Cardascio.
- Come risolto? Ma che va dicendo? Ma quale assassino? Ma di quale delitto parla?
- Ora si esagera, è vero. Si mette in dubbio la parola di un superiore. Badi Cardascio che qui siamo ai limiti. Lo capisce vero? Ai limiti dell’insubordinazione. E per questo c’è la commissione disciplinare. Sono stata chiara?
Ora che quello che già Altavilla gli ha confusamente anticipato è venuto a galla, il nostro commissario vuole almeno provare a capire che cosa sia successo.
- Dottoressa, non metterei mai in dubbio le affermazioni di un superiore. Ci mancherebbe, vorrei solo sapere come siete giunti a quelle conclusioni. Come vede, non sollevo neppure la questione di chi e come ci sia arrivato, quando si sa che le indagini erano affidate a me.
- Ecco, ecco, sempre a questionare di formalità voi siciliani. Mai che badiate al risultato. Il caso era mio e allora? Che significa, Cardascio che il caso era suo? Me lo vuole spiegare? Significa che lasciamo andare l’assassino di quel povero ragioniere a spasso per la città? Questo vuole commissario?
- Non sia mai, dottoressa. Tuttavia, mi piacerebbe capire di che assassino stiamo parlando.
- E’ evidente. E, se lei Cardascio non si fosse ostinato a cercare dove non doveva, ci sarebbe arrivato da solo. Ma, no, cocciuto il commissario Cardascio. Era chiaro già dalla prima lettera anonima dove si doveva cercare. Lei non ha voluto. Cosa dovevamo fare? Starcene con le mani in mano senza far niente? Dire magari a quel bravo cittadino che spontaneamente si è presentato: abbia pazienza ma il commissario Cardascio pensa che questa sia la pista sbagliata. Questo dovevamo fare? Me lo dica chiaro, Cardascio!
Il nostro Commissario non ci sta capendo più niente. Ora salta fuori pure un testimone.
- E chi sarebbe mai questo cittadino che spontaneamente è venuto a testimoniare?
- Non faccia del sarcasmo, Cardascio! Mi pare di averla già avvertita. Comunque, non ci sono misteri. Qui si fa tutto alla luce del sole: il gestore dell’albergo Mozart, Quartararo.
-Ma se quando ci sono andato io, spergiurava di non conoscerlo nemmeno Impallomeni.
- Che vuole, commissario, sempre il vostro vizio dell’omertà, della paura della polizia. Poi, Quartararo ci ha riflettuto e ha deciso che non poteva tacere.
- Capisco. E l’assassino chi sarebbe?
- Il cameriere dell’albergo, un certo Marturano. Omicidio passionale da quello che risulta.
- Chi, scusi? Può ripetermi il nome.
- Che ne so, Cardascio, Marturano, Martirano, il giovane cameriere e pure amante del defunto ragioniere Impallomeni. Una squallida storia maturata in quell’ambiente di viziosi. Come volevasi domostrare Cardascio. Come volevasi dimostrare! Prenda, commissario, se la legga. Questa è la relazione di Pignatone che lei neppure si è dato la pena di guardare.

Il commissario c’è rimasto male. Si vede che davvero non se l’aspettava quest’uscita dell’Antocci. Avrà le sue ragioni per reagire in questo modo. Non ribatte perché ha capito che non ci può fare niente. Si prende la cartelletta con la relazione ed esce senza neppure salutare, anche se, questa volta, si tratta del questore. Ma di questa scortesia, a quanto pare, non dovrà rendere conto. La dottoressa Antocci neppure se ne è accorta, indaffarata com’è a prepararsi per la conferenza stampa.

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ogni rifermento a fatti realmente accaduti
o a persone realmente esistite o esistenti
è puramente casuale...

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giovedì 4 marzo 2010

8. il frutto del cacao

Sono arrivate due amiche da Palermo: Anna e Rosamaria.Sono andata a prenderle all’aereoporto di Caracas :Maiquetìa o Simon Bolivar, cioè come dire Punta Raisi o Falcone-Borsellino.

Naturalmente nel monitor degli arrivi, il volo Alitalia era l’unico delated, cioè in ritardo per cui ho aspettato quasi due ore. Nell’attesa ho letto il giornale : Ultimas Noticias, giornale dei Chavisti, ho mangiato un’arepa con pollo (che poi mi ha fatto male), sono stata all’Internet cafè, a guardare la posta che era vuota perché l’avevo controllato un ora prima. Finalmente sono arrivate.

Le ho accompagnate all’albergo e il giorno dopo: in giro per Caracas, quella che i turisti non conoscono perché hanno paura di andare in certi posti. Prima di tutto la Quinta de Anauco, che è la casa dove nel 1857, Bolivar passò alcuni giorni prima di andare in Colombia e morire a
Cartagena. La casa è nel cuore di Caracas.

Una deliziosa casa coloniale, del “700. La casa apparteneva in principio a famiglie di conquistadores spagnoli, ma dopo la Battaglia di Carabobo nel 1821 guidata da Simon Bolivar e poi definitivamente nel 1823, il Venezuela acquista l’indipendenza dagli spagnoli, e la casa divenne proprietà del Marchese del Toro (venezuelano)

La guida era bravissima e ci ha raccontato un sacco di aneddoti davvero simpatici. Per esempio che il passatempo delle bambine fino ai 15 anni, era quello di vestire e svestire le statuette dei santi e fare vestitini per loro. Se poi, continuavano con questo gioco anche dopo i 15 anni allora le cameriere dicevano che sarebbero rimaste zitelle. Oppure che c’era un letto di fermata (parada), dove si svolgevano gli atti più importanti della vita di un essere umano: la nascita, la
morte.

Lì le partorienti ricevevano le visite dopo il parto, le ragazzine di 15 anni esponevano i regali ricevuti per il compleanno, e lì si mettevano i morti per ricevere le visite ed in questo caso si cambiavano le tende e l’arredamento della stanza: tutto nero. Poi c’è lo spazio dove le signore si riunivano a bere il cioccolato con gli invitati. C’è il giardino, il patio, come sempre centrale, con una fontana in mezzo e che a me dà sempre una sensazione di non tempo ed uno spazio
pacifico e rilassante.

E poi ci sono dei bellissimi quadri e sculture in legno fabbricate in venezuela, del 700, 800. Veramente interessante e pensare che nei tanti anni di vita qui, io non l’avevo mai visitato.Da lì siamo andate alla Plaza Bolivar che è nella parte più vecchia di Caracas. La piazza non è grande, piena di begli alti alberi con gli scoiattoli che prendono da mangiare dalle mani dei bambini.

Nel centro della Piazza, c’è una grande statua di Bolivar sul suo cavallo bianco “Palomo” e le persone vanno lì e portano corone di fiori.Una bella piazza dove si riuniscono molto i chavisti. Tanti anni fa, la domenica c’era pure la banda. Anna e Rosamaria il giorno dopo sono andate a Canaima a vedere la cascata dell’Angel che è altissima, in mezzo alla selva..

Al ritorno ci siamo incontrate all’aereoporto, ci sono venuti a prendere con una jeep e siamo andati in un posto che si chiama Caruao. Caruao si trova ad oriente di Caracas, sul mare.
E’ una zona di cacao e di pesca. Dopo un viaggio di due ore su una grandissima jeep con le sospensioni scassate, però una musica con video ad alto volume e pura salsa, siamo arrivate ad una posada che si chiama: Aloe Spa, ed è di due amici miei, Andrès e Beatriz.

Ci hanno accolto con una ricca cena e ci hanno accompagnato nella nostra casa che è un grande spazio aperto tutto di legno, in mezzo ad una vegetazione bellissima formata da palme, banani, alberi altissimi e la mattina ci svegliavamo con il canto delle guacharacas che sono dei pettegolissimi uccelli grandi, tipo fagiani che fanno un gran casino.

La mattina spiaggia deserta ed un sacco di pellicani che scendevano a picco a mangiarsi i pesci. Abbiamo tentato inutilmente di fotografarli: o prendavamo la macchina troppo tardi, o erano troppo lontani. Abbiamo giocato con le onde e passeggiato fino a degli scoglietti lì vicino. Pomeriggio abbiamo visitato una hacienda di cacao, abbiamo visto la frutta e provato i semi che sono squisiti. La frutta del cacao è grande (foto in alto), dentro ci sono tanti semini viola, avvolti da una deliziosa membrana tenera e bianca. Abbiamo comprato delle palle di cacao grezze che poi si preparano con cannella, zucchero di canna e rum.

Abbiamo visto la ceiba che è un gigantesco e bellissimo albero con le radici lunghe lunghe che per i messicani e per gli indios è l’albero della vita. Siamo state lì tre giorni. Anna ed io la mattina presto siamo andate a disegnare un fiore arancione grande, che si chiama Riqui-Riqui (foto a destra) ed è pasato pure un colibrì. Poi siamo tornate a Caracas.

Ed è strano do pa tanta tranquillità, ritrovarsi nel caos di Caracas, con un traffico bestiale e tanti rumori e vuccirìa. Qui ci sono sempre rumori. Ed io sto cominciando a lavorare per vendere la mia casa.
Ma questo è un altro capitolo.

(alessandra vassallo)

mercoledì 3 marzo 2010

(27) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXVII
Caffetteria Rizzo II
Don Raffaele Cimò

- Reverendo padre, venga, venga. Non si faccia problemi. Si accomodi. Qua per fortuna si sta benone, non crede?
- Grazie, grazie, signor commissario, gentilissimo. Anzi, mi faccia la cortesia di accettare i miei più sentiti ringraziamenti per la squisita sensibilità dimostrata in quest’occasione che, le confesso, un certo imbarazzo ce la crea.

Don Raffaele, seduto sulla poltroncina del bar, non è tranquillo. Si liscia in continuazione la tonaca, manco se questa ne avesse di bisogno inamidata com’è. Ma, oramai dovreste conoscerlo pure voi. Don Cimò non ci è abituato a trovarsi in un bar, o in un altro posto qualsiasi, a parlare con un poliziotto. Non è un prete di mondo, se mi concedete la battuta scadente. E in più non conosce Cardascio. Se magari sapesse qualcosa di lui, state pur certi che sarebbe molto più rilassato di quanto adesso non sia. Ma che farci? Dovrà passare sulle spine la sua brava mezzora di colloquio con la giustizia.
O Signore! Non ci si può credere! Da quant’è che il cameriere ha passato lo straccio? Vedete? E guardate bene! Cardascio deve avere pestato lo sterco di qualche cavallo per strada. Come che ci fanno i cavalli per strada? E le carrozzelle che sostano proprio qui accanto non le avete notate? No, non ce l’hanno il pannolone i cavalli qui da noi. Dite che dovrebbero avercelo? Sì, forse, avete ragione voi. Qualche ordinanza sindacale su questa questione ci sarà. Uh, non sapete quante ne fanno i nostri sindaci di ordinanze. Sì, va bene, ho capito, poi non le rispetta nessuno. Quella sui pannoloni dei cavalli pare proprio di no, ma non è questo il problema. C’è solo che il nostro povero Don Raffaele, a parte lo scanto, dovrà sorbirsi anche il fastidio della puzza. Se la sentiamo noi da qui, immaginatevi lui che ha sotto il naso la scarpa sporca del commissario.

- Ma non c’è di che, reverendo padre. Quando si può fare una cortesia perché rifiutarsi? Le ribadisco, comunque, che qui, ora, non stiamo facendo un interrogatorio. E’ solo una chiacchierata amichevole e niente di più.
- Mi avevano parlato della sua gentilezza commissario e ora ne ho la riprova. Grazie, grazie.
- Allora, Don Raffaele, cosa vi ha spinto a chiedermi questo colloquio?
- Beh, certo voi saprete che il povero ragioniere Impallomeni, dopo la pensione, ha collaborato con la nostra congregazione.
- In effetti mi risulta.
- E saprete pure che Impallomeni ci dava una mano per portare avanti quel vecchio progetto della riqualificazione dell’area di vicolo delle mandrie.
- Sì, ho avuto modo di apprendere la cosa.
- Ed essendo che il progetto ha, indubbiamente, dei risvolti economici certamente non trascurabili, abbiamo pensato che la fine tragica del nostro povero ragioniere potese, come si dice, entrare nelle indagini della polizia.
- Mi pare una considerazione sensata, reverendo.
- Saprà di certo che l’area in questione appartiene da sempre alla nostra congregazione. Allora, vede commissario, si fa presto a fare due più due, e non vorremmo essere, come si dice, tirati in ballo in questa brutta faccenda.
- Non mi pare che sia il nostro caso, don Raffaele. Avrà avuto modo di apprezzare che la polizia non ha lasciato trapelare nulla delle indagini in corso.
- Di questo vi siamo immensamente riconoscenti. Deve sapere che la nostra congregazione vive, come si dice, un momento particolarmente delicato. Che vuole, commissario, i tempi sono quelli che sono e, a quanto pare, il carisma del nostro santo fondatore non sembra attirare così tante vocazioni, diversamente da quanto avveniva un po’ di tempo addietro.
- Capisco e me ne dispiace, ma ho qualche difficoltà a collegare i fatti. Mi spiego, cosa c’entra questo momento delicato con la nostra questione?
- Mi rendo conto che il collegamento tra le due cose non è ne’ semplice, ne’ immediato, ma, le assicuro, che non è così campato in aria. Le dicevo che la nostra congregazione da diversi anni ha iniziato un declino che, mi duole dirlo, ormai pare proprio irreversibile. Lo sa, commissario, che non abbiamo un novizio da almeno dieci anni? Neppure dalle terre di evangelizzazione ne arrivano. Ci siamo ridotti solamente in questa terra, la patria del nostro santo fondatore e viviamo difficoltà, soprattutto, finanziarie considerevoli. Perché se è vero che siamo rimasti davvero in pochi, il patrimonio immobiliare della congregazione è molto vasto.
- Com’era nella tradizione del passato, don Raffaele, certo. Ma non vi aiuta questo vasto patrimonio a lenire, per così dire, le difficoltà di cui mi ha appenna accennato?
- Al contrario, commissario, proprio quel patrimonio è la pietra al collo che ci sta trascinando a fondo. Le spiego. A parte l’area che lei sa, per il resto si tratta di chiese, di conventi abbandonati da tempo, di lasciti sparsi qua e là, che per renedere qualcosa richiederebbero somme ingenti che la congregazione non ha a disposizione. L’unica speranza è l’area di vicolo delle mandrie. Spero di averle chiarito il collegamento col povero Impallomeni.
- La ringrazio, padre, lei sta dimostrando una collaborazione davvero lodevole. Le confesso che non ero al corrente della situazione precaria della congregazione, ma, sa, alla fine, le cose vengono a galla. Capisco, quindi, il suo scrupolo. Ora, tuttavia, avrei qualche domanda da farle sul nostro ragioniere.
- Sono qui per questo commissario, dica pure.

Non mi sembra il caso di perdere tempo ad ascoltare quello che si dicono. Tanto la storia la conosciamo. Don Cimò non sa niente di niente. Si è trovato in mezzo a questo ambaradam e sta cercando con encomiabile zelo di evitare che la sua congregazione ci venga trascinata dentro. Ci mancherebbe solo questo e il quadro sarebbe completo per i nostri poveri frati. Non mi pare che Cardascio gli abbia ancora chiesto di quell’inclinazione particolare che il nostro defunto ragioniere aveva scoperto e, a quanto pare, praticato in età matura. Mi dispiace per don Raffaele. Vedo già il suo imbarazzo e vedo anche riaffiorare l’ombra di quell’imprudenza di cui si accusa. Che farci? Le cose oramai sono quelle che sono e dovrà inghiottire anche questo rospo. Di altro non vedo cosa possa chiedere Cardascio. Forse, dell’imminente scioglimento della congregazione con tutto quanto ne consegue. Ma, Don Cimò ne ha già parlato e Cardascio non sembra avervi colto chissà che indizio. Sempre che di indizio si tratti. Facciamo conto, allora, che il nostro frate abbia fatto per intero il suo dovere e la chiudiamo qui. Che ne dite? No? Dite che vi interessa stare a sentire ancora? Non c’è assolutamente problema, ci mancherebbe. Siamo qui per questo, per venire incontro ai vostri desideri.

- Quindi, riassumendo, escludereste nella maniera più assoluta che Impallomeni possa avere avuto un qualche interesse personale nella questione della riqualificazione dell’area. Interesse, caro padre, tale da fargli fare la brutta fine che ha fatto?
- Non è per contraddirvi, commissario, ma su questo punto non mi sento di affermare ne’ di scludere niente. Ho conosciuto Vitangelo Impallomeni e mi sento di dirle che, a mio parere, era una brava persona. Le ho poi spiegato ogni cosa sul finanziamento che la regione ci ha concesso e ritengo che i fatti possano parlare da soli.
- Va bene. Guardi, solo per scrupolo, non pensi sia una questione importante. Ci risulta che il ragioniere Impallomeni frequentasse ambienti,come dire, equivoci. Cosa può dirmi al riguardo?
- Era inevitabile che anche questo fatto increscioso venisse a galla. Può comprendere il mio imbarazzo a trattare una questione così delicata, ma non nego che eravamo al corrente della particolare inclinazione del nostro defunto collaboratore. Non che Impallomeni ce ne abbia mai fatto cenno. Però, che vuole commissario le voci, specialmente quelle più cattive, fanno presto a girare. Le posso assicurare che Impallomeni da noi ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile. Posso riferirle solo una circostanza che sta a lei valutare. Negli ultimi mesi, di tanto in tanto, veniva a trovarlo un ragazzo. La cosa mi ha colpito solo perché il giovane ha un aspetto davvero singolare, almeno rispetto ai caratteri più comuni presenti qui da noi. E’ rosso di capelli e ha gli occhi chiari.

Certo che per Cardascio non c’è proprio da scialare. Arrivati a questo punto, un altro si sarebbe arreso all’evidenza. Scava e riscava da quella maledetta area da riqualificare non viene fuori niente di utile all’indagine. E’ vero c’è la faccenda del coccio fasullo riferita dal dottor Virgilio. Però, è troppo onesto il nostro commissario per pensare che possa riaprire una pista che sembra proprio non portare da nessuna parte. E a maggiore scorno di Cardascio tutti, o quasi, tornano sull’altra faccenda, quella della inclinazione, o come cavolo si dice, di Impallomeni. Quindi, non mi pare che resti altro che ammettere con onestà - e Cardascio onesto lo è - che se all’inizio, magari, si poteva pensare che la lettera anonima volesse buttare fumo negli occhi accennando alle frequentazioni di Impallomeni, ora dopo avere sentito pure don Raffaele, proprio non è possibile negarne l’evidenza. Ma una cosa è ammettere la possibilità che a motivo di tali frequentazioni Impallomeni sia stato ammazzato, altra cosa è limitare la ricerca dell’assassino a quegli ambienti come pretenderebbe la Antocci.
Quello che Virgilio gli ha detto può servire quanto meno a ritardare l’archiviazione del caso. Questo, pressappoco è quello che pensa il commissario, se lo conosciamo bene, come riteniamo di conoscerlo.

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