sabato 26 febbraio 2011

noi che


il 28 Gustavo Thoeni compirà 60 anni!

LA VERGINE CUCCIA

di Giuseppe Parini -

Ahi, fero giorno! allor che la sua bella
Vergine cuccia de le Grazie alunna,
Giovanilmente vezzeggiando, il piede
Villan del servo con gli eburnei denti
Segnò di lieve nota: e questi audace
Col sacrilego piè lanciolla: ed ella
Tre volte rotolò; tre volte scosse
Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
Nari soffiò la polvere rodente:
Indi i gemiti alzando, aita aita
Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei la impietosita eco rispose;
L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo
Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre: a lui non valse
Zelo d'arcani ufici. Ei nudo andonne ...

mercoledì 23 febbraio 2011

Ladri


-" Ma lei, quando esce da casa, torna indietro sui suoi passi per controllare se ha chiuso bene la porta d’ingresso? "– La domanda aleggiava nell’ambulatorio in attesa di risposta mentre guardavo con maleducato stupore il medico.

Fra me e me pensavo: ma che razza di relazione può avere questo con i miei problemi respiratori. Naturalmente la domanda nel mio cervello prendeva forma con termini più coloriti e folkloristici e, per questo, meno riferibili. – E allora? – incalzò l’illustre broncopneumologo, amico di un amico.

Ancora un attimo, compresi e risposi: no, non sono depressa, ho solo male ai bronchi.

Oggi, a distanza di anni, superati i disturbi bronchiali causati dal fumo grazie all’aiuto di un anonimo medico ospedaliero, davanti alla porta d’ingresso della mia nuova casa, porta che mi sembra irrimediabilmente aperta, piena di sacchetti della spesa, stanca dopo un giorno di lavoro, furibonda con tutto il sistema solare e parte della nostra galassia mi tornano in mente le parole del broncopneumologo illustre, luminare della scienza medica amico di un amico, e mi chiedo: mi sono accertata stamattina di aver chiusa la porta di casa?

Anche in questo momento il mio cervello ragiona e parla come uno scaricatore diporto; ma io mi sforzo, educatamente, di tradurre il tutto in lessico da collegio svizzero. Che fatica!

Alle sette di sera potrei rispondere indifferentemente di si come di no: chi diavolo se lo ricorda più se l’ho chiusa questa benedetta porta.
In fondo mi aiutava il luminare della scienza medica a mettermi in guardia dai pericoli della presunta depressione: fossi solo un po’ più depressa mi sarei accertata stamattina di aver chiuso per bene questa benedetta porta di casa. La depressione ha, infine, i suoi vantaggi!

Comunque sia la domanda è: se non ho chiuso la porta essa è rimasta aperta da stamattina e chissà chi è entrato a fare man bassa. Se invece l’ho chiusa, allora è stata aperta da qualcun altro che è entrato a fare man bassa. Rapido calcolo, veloce e febbrile lavorio di quei pochi e sbiaditi neuroni che mi rimangono nel cervello e concludo che, qualunque cosa sia accaduta, la porta è aperta e qualcuno è entrato a casa mia: panico!

Per un carattere ottimista come il mio la possibilità che nessuno, invece, vi abbia messo piede è subito esclusa con dogmatismo aristotelico-tolemaico.
Quadro algebrico di insieme: un sacchetto della spesa nella mano destra + un ombrello gocciolante, ulteriore sacchetto della spesa (mangio troppo) e borsa da lavoro in quella sinistra + borsa da femmina metropolitana postmoderna a manico lungo pervivacemente scivolante lungo la spalla + capello bagnato incollato in testa stile anni venti che proprioamecolfaccionechemiritrovostamalissimo!!! + giornata di furori e passioni al lavoro + più ladri in casa = voglio la mamma!

Calma e ricomporsi altrimenti così conciata corro il rischio di fare la comparsa, se non la protagonista, in un film di Lars von Trier. Il mio cervello pensa già al titolo: “le onde del destino che travolgono il funzionario tecnico dell’ente pubblico che danza nell’oscurità (l’Ente, non il funzionario tecnico) sulla piazza della città dei cani e con i ladri in casa”. Chissà che successo a Cannes!

Butto ciò che ho in mano sul ballatoio, tranne la borsa scivolante sulla spalla, quella dei documenti, del bancomat ect dalla quale mi separo solo per andare a letto tale è il panico di perdere tutto, e suono alla dirimpettaia.

Data l’ora mi apre il marito con la faccia di chi si è alzato per forza dalla poltrona dove obnubilava la sua mente con il solito quiz a premi in TV. Mille scuse per il disturbo e una concitata spiegazione della situazione. Il dirimpettaio mi rassicura, si allontana un attimo, ritorna sull’uscio e impugnando una pistola si avvicina all’ingresso di casa mia e da un calcio alla porta che si apre. Non era neanche tanto obnubilato, considero.

Cerco con tutte le forze di non dimostrare il terrore che provo alla vista di quell’arma (abusiva?) e con un filo di voce, pescata non so dove, dico: si fermi, chiamo la polizia.

Per fortuna il dirimpettaio non ha nulla da ridire e non mi spara.
Chiamo il 113 cercando di spiegare, con la poca coerenza che mi rimane, il fatto. In attesa del la polizia rimango sul pianerottolo (non oso entrare in casa) nello stato prima descritto con l’aggravante che adesso siamo una decina: a me e al dirimpettaio si sono graziosamente aggiunti la moglie e i due figli e gli inquilini degli altri due appartamenti.

Una piccola e spontanea assemblea di condominio con all’ordine del giorno la sicurezza. E giù con: i tempi non sono più quelli di una volta, bisogna fare la voce grossa con l’amministratore, mascalzoni cosa speravano di trovare in casa di una “povera donna sola”, bisogna ritornare al portiere, no il portiere no costa troppo lo paghi tu? e messa cantando.

Li guardo e mi vedo protagonista dell’angelo sterminatore di Bunuel con la sceneggiatura riscritta a due mani dall’Antonioni di Deserto Rosso e dal Resnais dell’Anno scorso a Marienbad.
Kafka in confronto era un principiante.

Nel frattempo vorrei essere sul pianeta Papalla con i pupazzi di Testa, almeno quelli me li ricordo muti.
Riesco ad estraniarmi e cerco di fare previsioni su cosa mi avranno rubato; più ci penso più mi rendo conto che a casa mia non c’è niente da rubare. Basta avere presente la tipologia media delle case in affitto già arredate e chiunque si può rendere conto di ciò tranne, naturalmente, io, troppo coinvolta al momento.

A mente lucida penserei che un ladro che si rispetti neanche ci metterebbe piede in una casa del genere e se, per caso, vi capitasse per errore lascerebbe un biglietto di scuse con qualche banconota di medio taglio per le piccole spese.
Riecheggiano le sirene: eccoli finalmente i poliziotti! Li abbraccerei già solo per la capacità che hanno avuto di fare rientrare tutti velocemente nei loro appartamenti.

Il più anziano dei due entra per primo, io per ultima. Accendiamo la luce e non emerge nulla di strano nell’ingresso. Con molta cautela e in silenzio entriamo nel soggiorno e nell’adiacente cucina, anche qui tutto a posto come nel balcone.

Soltanto Ercolino, il fancazzista gatto tigrato che sfrutta il mio stipendio per alimentarsi, protesta risentito per essere stato svegliato dallo stato letargico in cui bivacca fra un pasto e l’altro.
Il bagno è esattamente come lo avevo lasciato.

Entriamo infine in camera da letto: è qui che si manifesta in tutta la sua cruda realtà il vero disastro. Il letto è disfatto, l’accappatoio è buttato malamente sulla poltroncina, ai piedi del letto si riversano mollemente i collant del giorno prima e sul letto si trova di tutto: libri, giornale, sveglia, foulard da lavare, camicia da notte e vestaglia, e adesso pure Ercolino che non vedeva l’ora di spalmarsi sul letto.

- Si, qui c’è stato qualcuno – commenta con divertita ironia il poliziotto. Io non oso guardarlo: sono rossa sino alla radice dei capelli.
A dirla in breve, in casa non è entrato nessuno e sono stata io stamattina a dare i giri di chiave alla porta senza accorgermi che non l’avevo accostata del tutto. Fortunatamente i poliziotti sono comprensivi ed hanno un gran senso dell’umorismo contrariamente a me che al momento ho lo stesso senso dell’ironia che avrà avuto Robespierre davanti alla ghigliottina, venuto il suo turno.

Che dire. Certamente non sarà un problema sostenere le occhiate irridenti dei miei coinquilini: dopo un mese dimenticheranno l’accaduto, salvo citarlo per dare un senso alle serate invernali a cena con gli amici. Certamente, per depressione o per sicurezza, ritengo bene supremo, quando si esce da casa, controllare se la porta è stata accostata e chiusa bene: se non altro servirà a non fare cattive figure con la polizia.

Quanto al luminare della scienza medica, illustre broncopneumologo amico del mio amico, se lo incontro di nuovo gli mollo un calcio nei cabassisi così impara a fare psicologia da bar con una che, in fondo, aveva bisogno solo di un buon antinfiammatorio per le vie respiratorie primarie.

Torino 20/02/2010 Maria Gullo

martedì 22 febbraio 2011

dal sito del Team Italia di Kiva


come sono diventato un prestatore di Kiva

Iniziamo a pubblicare le storie dei prestatori di Kiva del team Italia con Pippo Vinci, da Palermo.

Nell’anno 2002 ho iniziato a lavorare presso un ufficio della Regione Siciliana che si occupava di cooperazione decentrata. In pratica la cooperazione internazionale gestita dagli enti locali (comuni, province e regioni). Lì si facevano bandi per distribuire soldi (molti soldi) ad ONG ed ONLUS che volessero progettare interventi nei paesi in via di sviluppo.

Io partecipavo a tutte le fasi, dalla stesura del bando , alla istruttoria delle progetti, alla graduatoria finale, alla verifica dei bilanci preventivi e dei rendiconti finali.

Un dato evidente saltava agli occhi. In ogni progetto, su 100 euro di spesa almeno 40 se non 60 servivano per il funzionamento della stessa organizzazione : missioni, trasporti, conferenze di presentazione, congressi, performance di apertura e di chiusura, viaggi di verifica, ricerca del partner e monitoraggio, corsi di formazione in Italia ed in loco, pubblicazioni, manifesti e locandine. Ora che ci penso a volte questi costi superavano il 70 % del budget. Il tutto per costruire un pozzo, o una tettoia per animali, un ambulatorio per un villaggio, ma spendendo il necessario per realizzare un acquedotto, un intero allevamento o un piccolo ospedale da 25-30 posti letto.

Tentai di cambiare impostazione del bando, ma , senza scendere nei particolari della mia vicenda, le mie intenzioni non trovarono mai una applicazione concreta ed il necessario aiuto “politico” con il risultato che “fui costretto” a cambiare settore.

Negli stessi mesi acquistai un libro ancora poco noto: “il Banchiere dei Poveri” di Mohamed Yunus . Libro che trovai meravigliosamente vicino alla mia idea di “cooperazione”. Da lì a poco incontrai anche Kiva.

Oggi sono al mio 29° prestito.

Grazie a Kiva

pippo vinci

domenica 20 febbraio 2011

Il Marocco in due x due (7 giorno)


Giovedì 14 Agosto 1997 - settimo giorno

Cristhina

Sono le 8,45. Pippo non si alza. E' vivo, ma vorrebbe essere morto. Quando si alza non controlla i suoi movimenti e sbatte la testa contro un ferro sporgente dentro l'armadio. Elio prende il container con i suoi medicinali e tira fuori amuchina e cotone. Il taglio non è profondo, ma forse alle berbere piacerà.

Colazione e bagno in piscina

Mentre sorseggiamo bibite e caffè al bar della piscina, Elio dice che secondo lui questa è la città più bella del Marocco. La vita in piscina è movimentata da orde di bambini multietnici che fanno caciara e si spingono a vicenda per buttarsi in acqua e affogare.

Ne contiamo trenta. Notiamo che gli uomini bianchi stanno lontani dall'acqua sdraiati sull'erba sotto le palme. I neri e i mezzosangue, invece, affollano le acque e le sponde.

Pippo dice che il bagnino calvo è molto bello. Elio invece vuole conoscere una grassona. Ma l'attenzione dei due viaggiatori viene catturata da alcuni ragazzi sicuramente membri della dinastia dei Pas de Phosphor. I loro sguardi tradiscono il vuoto che c'è nei loro teschi, ma in compenso sono circondati da donne di tutti i colori.

Individuiamo pure il capo . Non è stato molto difficile capire che era lui il leader. La sua espressione lo ha tradito. Ci lancia uno sguardo forse per capire se siamo come lui. Poco dopo esce dallo spogliatoio vestito come un tascio. Ci guarda di nuovo. Forse capisce (!?) che noi lo stiamo sfottendo da due ore . Poi se ne va.

Tutta la giornata trascorre ai bordi della piscina come succede alle zebre di quark.

Elio si occupa pure di trovare un albergo ad Essaouira, nostra prossima meta.

Pranziamo sempre lì sull'erba ai bordi della piscina. La nostra postazione non ha nulla da invidiare a quella degli altri marocchini. Siamo infatti circondati da tovaglie, guide, occhiali da sole, sandali, bottiglie di tutto, cicche fumate , pantaloncini, magliette , penne , cartoline, francobolli e ,(qui sta la differenza), Corriere della Sera. Abbiamo occupato circa due tumuli di prato. Gli altri bianchi ci guardano con disprezzo

Torniamo in camera e ci addormentiamo . Pippo calcola che oggi è stato alzato 6 o 7 minuti in totale.

Finalmente alle 19 usciamo per fare il giro della città in taxi. Ci accompagna Mamoun il tassista . E' di Marrakech e ci conduce in giro per la città mostrandoci un po' di tutto. Ora ci sentiamo a posto con la coscienza. Oltre che la piscina del Safir conosciamo anche i muri di Marrakech.

Alla piazza Djema el Fna ci sediamo in un Fast Marocc Food. Si tratta in effetti di una bancarella (la numero 54) al centro della piazza. Al centro i cuochi e i cibi da cuocere. Tutt' intorno i clienti zona cucina. Troviamo posto sottovento e quindi ci impuzziamo. Notiamo che quando la gente si alza, i resti vengono catturati con rapidità da mendicanti affamati che sostano nelle vicinanze come avvoltoi . Facciamo una foto.

Elio si beve tre spremute di arancia . Poi si ferma a riflettere e conclude terrorizzato che l'inoculo della salmonella potrebbe nascondersi nel ghiaccio dell'aranciata Stasera dose massiccia di Enterogermina strong. Pippo , invece , si beve un tè speziatissimo al ginseng e cannella. Il tearo gli ha detto all'orecchio che quella è una bevanda molto afrodisiaca e per farsi capire fa il gesto marocchino della fottuta con il braccio destro .

Al souq Elio compra una canna attorcigliata che serve per pulirsi i denti. Pippo dice che questo metodo non sarà molto efficace visto l'elevato numero di dentisti . Elio non si da' per vinto, sfila una striscia di canna dall'involucro e se la strofina sui denti abradendoseli irrevrsibilmente.

Oggi la temperatura ha sfiorato i 42 gradi. Ma questa sera già si sta meglio. Torniamo in hotel e decidiamo di sederci al bar ai bordi della piscina. Ma Toni Sperandeo ci dice che il servizio è finito. Ci accorgiamo , però, che il marpione continua a servire le signorine. I maschi possono morire di sete.

Elio alle undici va in camera in attesa di Mamoun che deve portargli un po' di legmì. Il Legmì è una bevanda semi alcolica e dolciastra che i berberi ricavano dalla fermentazione del succo di palma. Non si trova in commercio perchè "in teoria" l'alcool non è consentitio tra gli islamici. E così se ne trova in abbondanza dalle produzioni "casereccie". Certo non è una grande bevanda, molto dolce e poco alcolico. Una specie di Cherry sventato ma basta per sentirci ancora di più marocchini laici e trasgressivi!

La serata sembra finita e così Pippo ed Elio chiacchierano e fumano seduti al terrazzino della stanza 536 godendosi il clima che in questo momento ha concesso una tregua . Ad un certo punto sul balconcino accanto , nella penombra della notte, Pippo scorge la figura di una giovane donna dai lunghi capelli . E' nuda, fuma e beve. Saranno gli effetti del legmì? No, è tutto vero.

Pippo lo comunica a Elio che è voltato di spalle e non può godere. Elio spiega la situazione a Pippo : trattasi di giovane pulla a caccia di clienti . Infatti la presunta giovane pulla si riveste e va all'attacco. Ha una voce sensuale.

Dice di essere brasiliana, di chiamarsi Cristina e di sentirsi maledettamente sola. Pippo mostra di accogliere l'invito , ma Elio lo blocca -" ti ho detto che è una pulla ". Così decidiamo di perdere tempo finchè la giovane donna ci dice che siamo due finocchioni e se ne va.

Elio , che sa sempre tutto di pulle, dice che è scesa giù a cercare clienti meno finocchi di noi. Ed infatti dopo un'ora , sul balconcino di Cristina, appare un omone nero nudo che viene barcollando verso di noi. Pippo gentilmente lo saluta con un galante bon soir. Lui risponde a modo suo pisciando prima sui fiori alle spalle di Elio e poi fuori dal balcone. Finita la pisciata non dice nulla e torna dalla sua Cristina.


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giovedì 3 febbraio 2011

Il Marocco in due per due (6° giorno)


mercoledì 13 agosto 1997 - sesto giorno

Cascade d'Ozoud - Marrakech

Marrakech , ore 21,45. Due cadaveri sono seduti alla terrazza del restaurant Cafè de France in piazza Djema El Fna : siamo noi. Nonostante apparentemente siamo due splendidi quarantenni, abbiamo la pressione a 15 e ci troviamo in uno stato di apatia / afasia che comincia a preoccuparci.

Da qui dominiamo la famosa piazza dove migliaia di persone mangiano, ballano, suonano, vendono, comprano e se la fissìano. Questa vista , questo spreco di energia con una temperatura di 38 gradi basta per prostrarci. Stiamo interrogandoci sulle possibili cause di tale situazione. Elio non vuol sentir parlare di età . Ripassiamo mentalmente gli avvenimenti della giornata appena trascorsa.

Dopo la sveglia all'hotel du lac, facciamo per la prima volta colazione in albergo. E abbiamo atteso il più fetente per deciderci. Al ristorante ci fanno compagnia due ingegneri della diga forse venuti fin quaggiù per controllare se lo sbarramento abbia delle lesioni. Ci rendiamo conto che questa notte abbiamo dormito sotto la diga rischiando il Vajont 2. Sopra di noi ha dormito un lago immenso.

(scrivo queste righe ai bordi della piscina dell'hotel Safir di Marrakech mentre Elio studia la nostra prossima meta, Essaouira, ricostruita dall'ingegnere francofono Cornut)

Ma torniamo alla mattinata di ieri . Dopo aver fatto colazione partiamo alla volta del posto più affascinante esistente nei paraggi : le Cascade D'Ozoud. Un posto incantevole , secondo i nostri sacri testi.

Il caldo si fa sempre più caldo e lungo la strada spuntano, qua e là, bambini e bambine che vendono cose strane: cespugli, pietre, sacchetti di munnizza. Di tanto in tanto ci imbattiamo in gruppetti di familiari o semplici amiconi che passeggiano approfittando della bella giornata di caldo torrido e fanno la spola tra una roccia arroventata ed un cespuglio rinsecchito.

Passiamo da Azilal, un paesino ideale per trascorrervi le vacanze . Infatti da alcune foto, che mostrano il paese imbiancato di neve in inverno, deduciamo che qui fa freddo d'inverno e caldo d'estate . Mentre Elio fa la solita telefonata da cummenda, Pippo gironzola tra le strade infuocate di Azilal e nota un tizio seduto al bar che non ha fatto il cambio di stagione e indossa una pesante giacca a vento con bavero imbottito alzato a protezione del collo. Elio dice che in effetti questo è un buon metodo per ripararsi dalle temperature roventi del deserto. Intanto , però, mette al massimo l'aria condizionata.

Finalmente arriviamo alle cascate. Dopo avere trattato con i piedi una guida, ci godiamo un caffè in un bicchiere sporco. Tanto sporco che Elio non beve. In cambio , per non dare nell'occhio, chiacchiera con l'hotelier locale. I due si trovano d'accordo su tutto e alla fine diventano amici.

Le cascate sono stupende. Più dall'alto che dal basso. Qui , infatti , si viene a contatto con la lordìa e il bordello. Man mano che si scende si attraversano accampamenti di villeggianti locali che hanno in comune il fatto che non si lavano e buttano immondizie ovunque. Per passare sull'altra sponda (che appare meno sudicia), usiamo un traghettino a tre posti costruito artigianalmente con tavole di legno e bidoni di plastica.

Lo conduce un Caronte locale che alla fine della giornata diventerà ricco. Ci divertiamo ad osservare giovani marocchini che si lanciano da grandi altezze. Pippo decide di bagnarsi. Elio non ci pensa neanche. L'acqua è gelata , torbida, melmosa e sicuramente satura di mitseriosi germi patogeni

Alle 16 in punto (comme d'abitude) ripartiamo verso Marrakech. Indecisi su quale strada percorrere ripassiamo tre volte dallo stesso bivio . Alla fine decidiamo per la via più tortuosa , ma più breve, incoraggiati da una giovane coppia di francesi che ci consiglia di fare il contrario. Arriviamo a Marrakech alle sette passate e subito siamo costretti a respingere una guida in mobilette. Ci segue ovunque , ma la nostra esperienza ci consente di seminarla.

Troviamo l'hotel Safir.

Dopo una soddisfacente cena al Cafè de France, facciamo una passeggiata per la piazza Djema el Fna. Beviamo una aranciata (fredda, finalmente) e mangiamo alcune mandorle, un frutto che qui è usato a scopo alimentare e non ornamentale come avviene nell'altopiano di Taza.

Pippo mostra segni di sfiducia e di malaria . Si fa forte e ascolta con pazienza il racconto in arabo di un vecchio cantastorie che ha radunato intorno a se una folla di fannulloni.

Poi i due assistono ad uno sketch di due comici locali che si pestano i piedi. Ridono tutti, tranne noi due, non per razzismo, ma per pietà!

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