sabato 18 giugno 2011

le tagliatelle







Di nonne, io, ne ho avuto due!

Così nonna Lilì, gilusedda, mi suggerisce di iniziare il mio nuovo racconto.

Ma come, io che t’haiu annacato, sprucchiatu, pasciutu, nutricato un cunti nenti di mia”?

Nutricatu, si fa per dire, praticamente una metafora, Nonna Lilì – senza offesa nonnina. – un sapia cociri e, pi gravunchiu, manciava grevia, picchì u dutturi ci avìa dittu accussì, non abbiamo mai capito di che patologia soffrisse, anche perché nonna Lilì stava bene, erano tempi in cui i dottori si mettevano u ferru d’arreri a porta e pi sì e pi no dicianu ai cristianeddi anziani, di manciar grevio, cu picca zuccaro e picca ogghio!

Nonna Lilì, che ha passato gli ultimi anni della sua vita con noi, si era ritagliata un ruolo fondamentale e mentre mia madre ricamava il nostro corredo, lei spicchiava favi, piselli, munnava cacocciolicchi per farli sott’olio, annittava linticchi, fasola, favi, munnava mennuli, scacciava nuci, arriminava astrattu, cummattìa chi ficu e u pumaroru pi falli siccari o suli, e magia delle magie facìa i tagghiarini: impastava, scanava, stirava, tagghiava, stinnìa, calava, salava, cunzava e per la delizia dei nostri palati e la meraviglia dei nostri occhi ci fiondavamo ‘nte scannaturi i lignu dove venivano serviti cunzati ca sarsa, ricotta salata saliàta e mulincianeddi fritti ‘nta l’gghio d’aliva…. Ed era estate!

Io assistevo incantata a tutte le operazioni cercando, nel mio piccolo, di apportare il mio contributo, stirava l’impasto cu lasagnaturi con una maestria tale che faceva delle sfoglie perfettamente tonde, Giotto di Bondone, al suo cospetto, s’avìa a ghiri a mucciari.

Ne andavo fiera!

Dopo il taglio li stendeva, allineati nelle canne di fiume appuiate nelle spalliere delle sedie e si aspettava che asciugassero, per calarli ‘nta quarara chi vugghìa ‘ncapu u focu di ligna d’aliva e sarmenti.


Dopo avere appreso, dalla Nonna Lilì, tutti trucchi per fare il perfetto tagghiarinu, spesso lo ripropongo, mio padre appena mi vede impastare se la mutrìa, e al suo solito si mette a rumuliàri e a cuntari i tempi antichi.

A mia m’acchiana u nirbuso, è sempri a solita storia, che a tempo di guerra mangiavano solo tagghiarini e anzi, alla sua famiglia, andava sempre bene che avevano le materie prime e che loro erano ricchi e che invece la famiglia di mia madre sa passava scarsulidda e chi iddu, come il principe azzurro delle favole, ha salvato la fanciulla dalla miseria, insomma la solita tiritera che, temo, presto mi porterà all’esaurimento nervoso, mi sa che dovrò rivolgermi ad un bravo psicologo che mi possa aiutare a cucinare senza incorrere in crisi domestiche.

Ma andiamo ai miei tagghiarini.

Io li faccio così:


Tagghiarini cu sucu, a ricotta salata e i milinciani fritti.

O più semplicemente “Tagliatelle alla Norma”

Ingredienti per quattro persone:

Per le tagliatalle:

400 g farina di grano duro
Acqua quanto basta.

Per la salsa di pomodoro:

3 kg circa di pomodori maturi
2 o 3 cipolle
Ogghiu di chiddu bbonu q.b.
Sale
Pepe
Basilico

Inoltre.

2 melenzane
Ricotta salata grattugiata

Io ci comincio ca matinata, perché devono avere il tempo di asciugare prima di calarli, per cui: impasto la farina con l’acqua, prestando attenzione che l’impasto sia piuttosto sodo, volendo si potrebbero mettere due uova ma la nonna Lilì le faceva senza e poi vengono tanfuse, l’importante è che l’impasto sia molto sodo.

Dopo che scano l’impasto, a lungo a forza di braccia, faccio dei piccoli panetti tondi che stendo col matterello fino a formare una sfoglia spessa pochi millimetri, confesso che le mie sfoglie, vengono piuttosto sgummate, ma un ci fa nenti. Le stendo su una tovaglia che ho cosparso di farina e le lascio asciugare per circa un’ora.

Intanto che aspetto che asciughino metto le melanzane, tagliate a pezzetti a spurgare col sale, e squaro il pomodoro per il sugo, dopo circa tre quarti d’ora lo passo, dopo ingrancio la cipolla tagliata piccolissima e appena è trasparente aggiungo il passato di pomodoro, aggiusto di sale e pepe e lascio cucinare, a fuoco lento, per circa un’ora.

Intanto si sono asciugate le sfoglie e sono pronte per essere tagliate, le arrotolo su se stesse e su un tagliere le taglio a striscioline larghe circa 1 cm, non avendo le canne dove stenderle le metto direttamente sul tavolo infarinato e le lascio asciugare.

Ad ora di pranzo, friggo le melanzane in abbondante olio di oliva e intanto metto a bollire l’acqua per la pasta e scaldo il sugo aggiungendo abbondante basilico.

Prima di calare le tagliatelle devo avere tutto pronto, perché cucinano ‘n tempu ca tu cuntu, quindi: tavola apparecchiata, ricotta salata già grattugiata, melanzane tutte fritte, sugo caldo e genitori già seduti a tavola, una brava mamma chiede ai figli se si sono lavati le mani, io chiedo ai miei se si sono messi le dentiere!

Appena le calo, le salo e metto un filo d’olio per evitare che si attacchino tra di loro, pochi minuti e sono cotti, li scolo, li condisco presto presto col sugo caldo e li porto a tavola così, poi ognuno aggiunge a piacere le melanzane e la ricotta salata.

Di solito ne restano e la sera, mia madre che è sempre licca di cosi fritti, le scalda in padella con un filo di olio a fiamma alta e le serve per cena. Una vera leccornia!


antonella gullo


sabato 4 giugno 2011

Il Marocco in due x due (10° giorno)

domenica 17 agosto 1997 - decimo giorno

Essaouira - El Jadida

Sono le 23 e trenta e siamo nella nostra cella del bagno penale di El Jadida che la nostra guida considera un hotel a tre stelle. In effetti l'hotel Palais Andalouse ha un passato da sontuosa residenza di Pascià. E' ricco di marmi, mosaici e stucchi, ma le stanze sono allineate lungo corridoi alcatrazeschi che danno su un cortile interno pressoché invisibile per la presenza di alti muraglioni che non lasciano passare ne' luce ne' aria.

Il caldo è asfissiante e tutti i detenuti stanno in mutande nei corridoi facendo finta di chiacchierare con il compagno di cella.. Non si è mai visto un albergo con tutte le porte delle camere spalancate anche se inutilmente. L'aria fresca dell'oceano corre lungo i corridoi senza entrare nelle celle .

Oggi abbiamo lasciato la città del vento (Essaouira) alle undici dopo aver fatto inutili acquisti e dopo aver fatto conoscenza con un ragazzo disbile , Mustafà, che dipingeva su una piccola tela tenendo il pennello stretto fra le labbra.

E' stato il momento più toccante del viaggio. Poi siamo partiti dirigendoci verso nord. Lungo il tragitto abbiamo incontrato la città-cacca di Safir. Qui decidiamo di fare rifornimento di viveri, ma alla vista del mercato ci siamo quasi lanzati e siamo scappati via. Su un carretto di frutta c'erano più mosche che acini di uva. Tanto che non si capiva se vendesse uva con contorno di mosche o mosche con contorno di uva.

Dopo Safir, Oualadia. Qui le mosche lasciavano il posto ai vacanzieri che affollavano la splendida spiaggia protetta da due isolotti sabbiosi. Il mare appariva calmo, pulito e caldo. Decidiamo di proseguire alla ricerca di una spiaggia più bella, più accessibile e, soprattutto, più esclusiva.

Quando ormai ogni speranza era perduta ecco che Pippo adocchia una piccola trazzera a guardia della quale una bella fanciulla ci fa segno che da quella strada si arriva a mare. Arrivano anche la mamma e i vari fratellini. Seguiamo il consiglio, ma la strada, invece, porta in un fosso con un tubo di plastica.

Questo errore ci costa 2 sigarette. Le dobbiamo regalare ad un tizio che ci rimette sulla strada. Dopo 3 o 4 chilometri compriamo un mellone rosso. Il molonaro ci dice che il prezzo è di 3 dhiram al chilo. Poi pesa il frutto e agguanta la calcolatrice per calcolarne il valore.

Dopo 10 minuti di conti esce dalla sua tenda e ci mostra il display della calcolatrice : 390 dhiram !

-" cosa?..... 390 ? " - Si , 390 !. Elio dice che secondo lui pagare un mellone 72.000 lire è un po' esagerato. Ma il commerciante ci fa capire che il vero prezzo è 19 dhiram, cioè 3.534 lire. Cosa significava allora 390 ?. Non lo sappiamo.

A 55 chilometri da El Jadida, la svolta. Pippo ha l'ennesimo intuito assassino. Si decide di assecondarlo e allora imbocchiamo una trazzera che ci porta in una incantevole spiaggetta con patelle giganti. C'è anche uno che pare morto , ma poi non lo vediamo più e allora pensiamo che doveva essere vivo. Mangiamo l'anguria.

Dopo un caffè orripilante, arriviamo a El Jadida. Giriamo per un'ora attorno all'hotel che cerchiamo sballottati a destra e a sinistra da tutti quelli a cui chiediamo informazioni. Noi seguiamo tutte le indicazioni che ci forniscono, ma loro si contraddicono ad ogni incrocio. Ad un certo punto siamo noi a dire a loro cosa ci devono dire per indicarci l'hotel che comunque... troviamo per caso.

La tristezza riempe i nostri cuori. Non sappiamo come consolarci Decidiamo così di trascorre solo una notte in galera e non due come si era progettato il giorno prima. Passeremo l'ultimo giorno del viaggio a Casablanca. la città di Ric.

Dopo l'ottima cena al ristorante Le Broche, partiamo alla ricerca di un posto dove vendono birra. Ci facciamo aiutare da un ragazzo buono con nome ebreo e gola tagliata. Dice di avere subito una rapina dieci giorni fa. Lo carichiamo imprudentemente in macchina.

Ibraim ci aiuta a trovare tre lattine di birra calda in un locale nascosto e ormai quasi chiuso. E' tardi e tutti vogliono andare alla festa che sta per cominciare sulla spiaggia di Sidi Bouzid e che pare durerà tutta la notte. La festa, invece, è sotto la finestra della nostra cella. C'è un matrimonio e quindi tutti gli invitati urlano e sbattono piatti. Decidiamo di perdere un po' di tempo al bar dell'albergo dove ci servono della birra ghiacciata. E, cosa più sorprendente, il cameriere è un tipo molto sveglio.


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