lunedì 3 settembre 2012

esca viva (1)

siamo tutti figli di Cristoforo Colombo
uno
Guarda le mie tette
le mie dita sono sette
se son bagnata non lo dico
forse ben lo sa il tuo fico
tra le gambe lo tieni chiuso
quanto vorrei ficcarci il muso!”
una cosuccia simpatica scritta alle medie ai miei compagni su pizzini di cotone bianco shockingstraccetti ritagliati dalle mie mutandine - in genere se era fissata la loro interrogazione per qualche minuto dopo. Troppo mi facevano ridere, troppo.
Se l’interrogazione andava male tornando a posto trovavano la carta delle mie caramelle ben aperta sul banco:
Quant’è lunga la tua pistola
non ti credo sulla parola
la voglio proprio tutta vedere
poi la misuro col mio sedere”.
siamo familiari, in fondo. Mi avvolgono con fasce nuziali, mi apparano con coda e orecchie di cartone, mi mettono una carota in bocca, mi intrufolano fettucce colorate dentro la gonnellina da collegiale. Mi portano in giro inzaccherata nelle trine, io da piccola sempre di sghimbescio sul passeggino.
Da lì assaporavo le terga ansimanti dei passanti. Che lirica beatitudine guardare quelle aride collinette dondolanti esteticamente schiantose. Poi mi snodavo le braccia e le gambe in reclami disperati con un surplus di energia centrifuga e allora mi divincolavano dal passeggino e mi dicevano di non lasciar loro la mano e di non scappare via ma io sorridevo sorridevano sorridevo e mostravo a tutti le mie scarpe nuove o tiravo su la gonnellina per lasciar vedere una sagrada calzamaglia color lampone acceso e mentre loro ammiccavano io ritraevo di scatto le manine dalle manone e mi andavo a sbattere muri muri o mi lasciavo sventolare tra le gambe dei passanti ma mai mai sarei andata in strada a scoprire il rossiccio del mio sangue sfilante in zampillini rapidi e suggestivi.
due
Alla mia governante manca un dente davanti, un incisivo grosso sul cui greto secco lei ficca il suo mignolino quando è soprapensiero, e si sollazza. Interminabili ditalini palato-dentali, Detta pensava tanto. Il suo fisico era elegante, moto motrice di gran classe ma la sua faccia larga non era più espressiva delle pagnottone di piana degli Albanesi.
Bruciatizza perfino, come quel pane un po’ troppo cotto. Dopo ho saputo cosa i ragazzi dicono di quelle come lei: un cuscino in faccia e via. Mi piace scarabocchiare col chinino e aggiungere vegetazione e insalata fresca e grossa frutta succulenta alle pagine troppo desolate dei libri di mia madre. Avevo voglia di vedere il sesso dei cani, le occasioni erano poche e fugaci – sempre da una macchina in corsa: succedeva niente o succedeva tutto e non ce ne accorgevamo.
Non voglio morire però amavo le grandi cisterne d’acqua. Questo è un souvenir, Trapani. Si poteva impazzire a mulinellare nelle mille chiose del centro. I locali maschi flautavano e cristallizzavano seduti al bar Mangiameli, con begli occhi di discendenza araba color tormalina e benevoli quanto un tagliacarte. Le donne spesso erano chirurgicamente grassocce climaterio-dipendenti e si incastravano perfino nelle torcelle delle gioiellerie dove esperti toreutuci avevano inciso per loro splendide tour eiffel su cammei d’oro. Ovviamente regalati dai mariti puttanofagi che non le toccavano da mesi, se non anni, non toccavano più quei quintali di glutine barocco buone solo a passeggiarsi la scimmia.
O, in alternativa: Totò, Totò, accattami u gobelin pi supra u divanu marrò. Gobelin: prezioso arazzo tessuto a mano. Nell’accezione trapanese di colore prevalentemente scuro, color cacca screziata, esattamente quella prodotta se il giorno prima la mamma ti ha costretto a mangiare trecento grammi di spinaci. Perfetto sul divano marrone. Trapani.
Per personalizzare il souvenir, quando la mia governante incontrava il suo garzone mi lasciava custodita dal portiere, che una e due era sempre ad armeggiare con le leve e gli interruttori della cisterna condominiale. Oppure quando Detta incontrava l’altro suo garzone, ossia il mio portiere, allora mi lasciavano in custodia dal portiere del condominio accanto e allora pretendo di stare in braccia a lui perché ho paura e non voglio morire e mi sento frustrata.
Però quando lui va a traccheggiare con le leve e gli interruttori della sua cisterna e io guardo tutta quell’acqua posso di nuovo essere felice. Io credevo che dentro l’acqua si potesse rinascere e condurre una vita bizzarra e inquietante ma molto molto avventurosa. E adoro l’idea di fluttuare nei liquidi. Mi attira ciò che si solve ma anche ciò che galleggia e ancor di più ciò che va a fondo.
Sorridiamo perché stiamo davanti al mare e perché siamo tutti figli di cristoforo colombo. ..continua
Rossella Valentino

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