venerdì 30 gennaio 2015

Mosca: il generale Ingorgo

di nicola lombardozzi

Mosca. E non dimenticatevi un buon libro. Se vi preparate ad andare in giro per Mosca in auto, è assolutamente

fondamentale. Perché appena finirete nell’ingorgo, e state tranquilli che ci finirete, il tempo si fermerà all’improvviso e non avrete scampo.



Certo, i primi dieci minuti li potete impegnare a guardarvi intorno, cercare di capire dove sia l’intoppo, sperare che sia tutta colpa di un incidente o di un’auto che si è bloccata al centro della carreggiata. È umano, succede a tutti. Vi convincerete che basterà superare quell’ostacolo e tutto tornerà a scorrere fluido e veloce. Ma non è mai così. E ogni volta finirete per rassegnarvi.

Poi, prima di arrendervi e tuffarvi nella lettura, potete
sempre impiegare un altro quarto d'ora a contemplare i vostri compagni di avventura. Potete fare considerazioni economiche e sociali: le vecchie scoppiettanti Zhigulì anni sessanta rimpizzate di immigrati caucasici tutti rigorosamente sintonizzati sulla musica ossessiva della legzinka; i poderosi Suv dal cruscotto in radica e finiture in pelle guidate da esili, truccatissime, bionde modelle in pelliccia; i minacciosi camion coperti di fango e ruggine che videro i fasti di Stalin; le anonime utilitarie Renault che contengono quelle sempre più diffuse famigliole normali della piccola borghesia appena riapparsa dal buio della Storia. 
Se la lettura sociologica vi sembrasse troppo impegnativa, quando si sta immobili nel centro di un ingorgo, resta sempre quella antropologica o quella più terra terra dei sani vecchi luoghi comuni. La prima cosa è il silenzio. Nessun clackson, nessuno che protesta contro il Comune o contro la sfiga. Solo attesa e rassegnazione. Un paio di signore di mezza età lavorano a maglia. Molti sono già assorti su un libro appoggiato sul volante. I bambini giocano sui sedili posteriori come se fossero già arrivati a casa o sulla piazzola attrezzata di un parco pubblico. 

Si sentono appena il ronzio dei tergicristalli, il borbottìo dei motori al minimo che restano accesi per mantenere il riscaldamento. A quel punto ti vengono in mente considerazioni un po' grossolane: strano popolo, sembra che stare fermi ad aspettare sia uno dei loro scopi nella vita. Oppure: da noi in Italia sarebbe un casino, la cosa finirebbe sui giornali, se ne parlerebbe per giorni. Qui invece tutto appare normale, ineluttabile. 

Come mai? Uno come Vladimir Sorokin, autore del memorabile romanzo “La coda”, uscito clandestino in era sovietica (in Italia per Guanda), dovrebbe essere un esperto in materia. Il suo libro raccontò, intrecciando i dialoghi di una folla in fila davanti a un negozio, quella assurda miscela di rassegnazione e speranza di cambiamento che caratterizzava i russi dell'epoca. Ora il mistero gli sembra ancora più inesplicabile: “Un tempo si stava in coda davanti ai magazzini Gum, adesso lungo le strade intasate. Ma il principio resta lo stesso. Deve far parte del nostro animo. Siamo in eterna attesa di qualcosa di meraviglioso che prima o poi ci cadrà addosso dal cielo”. 

Ma se avete un appuntamento, o comunque qualcosa da fare a casa, anche le considerazioni degli intellettuali sono poco consolatorie. Intanto siete ancora fermi. Abbandonare l'auto e fuggire a piedi, è tecnicamente impossibile. Siete al centro della trappola e non c'è via di fuga. Un'altra possibilità è concentrarsi sulla radio in Fm che fornisce continuamente il servizio di informazione sul traffico. Ma non vi danno mai una speranza. Solo senso di colpa. Ti spiegano, sempre in ritardo, che “era chiaro” che in quella zona si sarebbe formato un ingorgo. Che avreste fatto meglio a non prendere la macchina. 

 Insomma che in fondo ve lo siete meritato. E ti snocciolano con sadismo quei dati che ormai trovi pure su Wikipedia e che ti fanno sentire ancora più in debito con te stesso e con le persone che ti aspettano: “Lo sapete che gli automobilisti di Mosca spendono nel traffico venti giorni a testa in un anno?”. E ci sono poi le valutazioni più immaginifiche: “Ogni giorno, sommando il tempo perso da tutti i disgraziati strangolati negli ingorghi, si arriva a ben 250 anni sprecati”. Incredibile. 

Si potrebbe tornare indietro, in un pomeriggio, al 1763 quando regnava la Zarina Caterina II la Grande. Tempi di guerre e di rivolte, ma forse con le strade meno intasate.
Intanto qualche ragazzo ha preso coraggio, è sceso dall'auto e si è messo a fare lo scemo con la brunetta della vettura a fianco. Sono teneri. E speri che “si innamorino pure, ma che non dimentichino di togliere entrambe le loro auto dal mio pezzo di carreggiata”. A forza di stare immobili si diventa cattivi.

Dai un'altra occhiata ai tuoi compagni di detenzione urbana e scopri un'altra follia: nessuno telefona. Ma come? Solo a Mosca è possibile assistere a evoluzioni a ottanta all'ora con il telefono incollato all'orecchio. Incoraggiata dalle multe ridicole (appena due euro, quando te la fanno) sembra che la passione più diffusa tra gli automobilisti moscoviti sia parlare al telefono mentre si guida, meglio ancora mentre si fa manovra. Da fermi mai. Forse non è divertente. Forse fa anche questo parte dell'animo russo. Bisognerebbe affrontare l'argomento con Sorokin, prima o poi. 

Fissi un'ambulanza che si fa largo in qualche modo salendo sui marciapiedi. Segui le sue evoluzioni, tifi per quel poveraccio sconosciuto che, forse sta rischiando la vita. Ma poi ti ricordi quello che hai letto sul giornale tempo fa: molti autisti di ambulanza danno passaggi per dieci euro a chi se lo può permettere. La polizia qualche volta li becca. Qualcuno lo multa. E qualche altro invece lo scorta a destinazione perché è uno di quelli che contano.u

Poi, generalmente dopo la prima ora di immobilità, qualcosa cambia nel tuo stato d'animo. Capisci che è inutile sperare. Diventi più freddo. Ti cominci a chiedere cosa si possa fare. Da anni i sindaci ci hanno provato. Più volte lo stesso presidente Putin, ha preso personalmente in pugno la situazione. Senza riuscire a fare niente. Eppure le grandi Prospettive di Mosca, la Kutuzovskij, la Leningradskij, sono strade immense di dimensione cinese. La domenica, quando gli ingorghi si spostano sulle vie per le dacie di villeggiatura e la città diventa deserta, fanno paura con le loro sette, otto corsie per senso di marcia.
 Attraversare incroci vuoti dalle dimensioni di una pista d'aeroporto può provocare agorafobia o comunque un lieve senso di vertigine. Come fanno a riempirsi e paralizzarsi in questo modo? Va bene il boom dell'automobile, va bene il numero degli abitanti e dei pendolari che, tra censiti e abusivi, supererebbe i venti milioni, ma appare lo stesso senza senso. Forse, dicono quelli che sanno di urbanistica, la colpa è della leziosa forma circolare di Mosca e di quasi tutte le città russe. 

Prima c'era un solo anello, quello dei Boulevard alberati e delle case patrizie. Poi quello dei Giardini che ormai è da considerarsi in pieno centro. Poi un terzo e un quarto immenso anello autostradale. Tutti di dimensioni che sembrerebbero a prova di ingorgo. Ma il fatto è che su una di queste quattro strade devi per forza passare. Chiunque si metta in auto nella capitale russa sa che prima o poi finirà in uno di questi imbuti

E ci resterà per ore. In attesa del miracolo che prima o poi arriva. E che non ti dà nessuna soddisfazione.
Quando incredibilmente la fila riprende la marcia, ti guardi intorno freneticamente alla ricerca del motivo: un incidente gravissimo, un posto di blocco, una tubatura esplosa, dei lavori in corso maledettamente urgenti. Niente. Intanto cominci a correre e la curiosità ti passa. Chissenefrega della causa, ormai sei libero. Quasi arrivato. C'è solo un'altra piccola coda che si è appena formata proprio adesso. Chissà perché. 


Nicola Lombardozzi

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