sabato 29 marzo 2008

pasta al forno


Su belli i persichi e i cirasi,
ma tinta è da panza
chi pani un ci trasi!
Quando c’è profumo di pasta al forno, mio padre a dir poco, si ‘nguttuma, perché già sa che non ci sarà un secondo. Per lui non è pranzo o cena se non mangia almeno un muccuneddu di pani.
Che siano du cuccitedda d’alivi nivuri, o un pizzuddu di cacio, u cumpanaggiu e u pani, da tavola, un hannu a mancari! Du cristianu siddu un mancia pani, si senti dipiriri sulu sulu! E ci parunu piatuse, le popolazioni nord europee, la cui alimentazione è basata principalmente sulle patate. Capaci chi su sempri giarni nta facci, propriu picchì un mancianu pani! – Nca poi, giustamente si chiede, - prima di Colombo e la scoperta dell’America nsoccu pistiava sta genti?
Contestualmente, si inorgoglisce, pensando che il nostro pane ha origini storiche molto più antiche e nobili, e che ad esso sono legati miti e leggende che affondano radici in tempi ormai lontanissimi, solo per questo iddu si sente di una cultura superiore!
Una volta, dall’alto della sua cultura greca – romana – normanna – araba – mediterranea e chi pi ne ha ne metta, fece siddiare un geologo svizzero, che ospitammo a casa, in quella occasione preparammo un contorno a base di patate, che lo svizzeretto spazzolò in un una frazione di secondo, mio padre che si assetta sempre al latu degli ospiti per accertarsi di persona che si sazino a dovere, ci cumiciò a diri: - Gianclod ti piacinu i patati! Mangè mangè, - e con la mano a cacocciolo gli faceva il segno di mettere in bocca la pietanza – Gianclod, mangè mangè, Gianclod…. prima di Cristoforo Colombo, ti insunnavi i patati! Mangè mangè!
Quel picciotto rideva, ma secondo me, anche se non capiva niente si sintia anticchia sfuttutu! Da allora non lo abbiamo più né visto né sentito sarà fuggito nella sua natale Svizzera probabilmente a smartellare le Alpi, o a cercare le sue origini gastronomiche, chissà!
Peggio pi iddu, se avesse mantenuto i contatti avrebbe assaggiato la nostra pasta al forno, che anticamente quannu alla bonarmuzza ci siddiava a camiari u furnu, sta pasta, la faceva con la carbonella: a cunzava con un ragù molto semplice e qualche pezzetto di primo sale, la incasciava nella teglia che situava sulla fornacella con i carboni ardenti, sopra la teglia appoggiava un coperchio sopra il quale metteva altro carbone acceso! A venti minuti circa, la pasta era pronta: croccante all’esterno e morbidissima dentro!
Noi, oggi la facciamo così:

Anelletti al forno
ingredienti per 4 persone.
Il ragù:
400 gr di carne tritata;
una carota;
una cipolla;
una costa di sedano;
una busta di funghi secchi;
½ bicchiere di vino rosso;
i lt di passata di pomodoro
olio q.b.
sale
pepe
una foglia di alloro.

I piselli:
1 kg di piselli freschi;
una cipolla bianca
olio q.b.
sale
noce moscata.

Inoltre
350 gr di anelletti;
un pezzetto di primo sale;
un pezzetto di cacio cavallo tenero;
un po’ di cacio cavallo grattugiato
100 gr di prosciutto o mortadella a cubetti, a seconda dei gusti.


Preparazione del ragù.
Mettere in un tegame l’olio, la foglia di alloro e le verdure finemente tritate lasciare appassire a fiamma bassissima e aggiungere i funghi precedentemente ammollati e sminuzzati, lasciare andare ancora a fuoco lento, quando il soffritto comincia ad avere un aspetto dorato, alzare la fiamma e aggiungere la carne, lasciare tostare a fiamma alta e aggiungere il vino, quando il vino sarà evaporato aggiustare di sale e di pepe e aggiungere la passata di pomodoro. Lasciare cuocere a fiamma lenta per circa due ore.

I piselli.
Tritare finemente a cipolla, lasciarla riscaldare a fiamma bassa per pochi secondi e aggiungere i piselli appena sgranati e lavati, mettere sale e noce moscata abbondante, lasciare cuocere lentamente, mescolando spesso, se nel corso della cottura si asciugano troppo, aggiungere un poco di acqua.
Appena cotti, i piselli si aggiungono al ragù e si lascia insaporire il tutto per circa cinque minuti, sempre a fiamma bassa.

La pasta.
Cuocere gli anelletti, con abbondante acqua, appena cotti, versarli in una terrina nella quale abbiamo spezzettato i formaggi e aggiunto la mortadella, amalgamiamo il tutto aggiungendo il ragù e il cacio cavallo grattugiato.
Impostare, la pasta nella teglia e ricoprire con uno strato di ragù. Fatto ciò, si mette un foglio di alluminio a mo di coperchio e si passa nel forno riscaldato precedentemente a 250° . Dopo circa 20 minuti togliere l’alluminio e lasciarla gratinare per altri 10 minuti circa.
Sfornare e portare in tavola!
(antonella gullo) torna al menù

giovedì 20 marzo 2008

Minestra con il macco di fave


U Pitittu è cosa brutta, chiù assai di un jorno un s’ammutta!

E a tempo di guerra u pitittu era forti, a volte la fantasia della bonarmuzza non bastava picchì un c’era nenti cu cui fantasticari!
Un jornu vinni a mancari a pasta, in canciu, al municipiu sparteru i carrubbi, e come sempre ci fu un “un futti futti chi Diu aiuta a tutti”, gli amministratori del tempo e i loro amici che se la scialavano sempre si incheru a panza, o restu da popolazione ci tuccò di taliare u stiddatu!
Pi dda sira, riuscirono a portare in tavola sulu una carruba e un’arancia a testa, che mangiarono con un’angosciante sottofondo: i sibili delle bombe, le cui schegge arrivavano nto finistruni!
Ma a zittu tu e zittu iu, laddove era possibile, si dissotterrava n’anticchia di frummentu, che mio nonno aveva coltivato, “sarbatu” dintra i sacchi di juta e ammucciatu sutta terra, nmenzu a pagghia p’un fallu ammuffiri!
Venuto alla luce, il “reperto”si macinava con mezzi di fortuna, traendone una farina grossolana con la quale si cci facìanu pani e tagghiarini!
Chi taggiarineddi tagghiati nichi nichi, c’anticchia di favuzzi sicchi chi s’accapitavanu sempri, cu l’ogghiceddu bonu ammucciatu nei posti giusti, cu i vurrani chi criscìanu spontanei nte campagni, e cu un cucciteddu di pumaroru appizzatu ca un mancava mai, si putia fari na bella quararedda di pasta col macco di fave, minestra chi cunfurtava i panzi vacanti! E un sulu a sira! Anche all’indomani! Ca matinata, quella che rimaneva, a quariavanu nta paredda ed era ancora chiù duci da sira avanti!
Tempi lari eranu, chiddi da guerra! Ma cu avìa a campagna, con un po’ di prudenza, riusciva a manciari!
Tempi, ormai lontani che abbiamo conosciuto attraverso i ricordi dei nostri genitori, oggi preparare una minestra col macco di fave, per fortuna non è angosciante come allora; anzi, a casa mia, a ura di priparari sti cusuzzi antichi, tra mia madre e mio padre che per costituzione s’hannu a mmiscari sempre, si fa teatrino!
Mia madre ha sempre la fissa dell’approvvigionamento degli ingredienti: i vurrani pi essiri giusti, hannu a essiri quelli che crescono al riparo dal sole, perché su meno arrabbiati, i favuzzi? Oh bedda matri chi tristezza! Chiddi chi coltivava u papà eranu bboni! Ma di necessità virtù, a denti stretti, le compriamo.
Invece mio padre si scanta si cci facemu grevi e troppo nsarsati! A ura di mittirici u pumaroru trema la terra! Pomodoro poco, giusto, misurato, mica è pasta ca sarsa! E non ci si può permettere di allontanarsi dalla cucina, i pignati, quannu su nto focu, un si lassanu mai suli!
Insomma di qua che arriva a tavola, un piatto di pasta chi favi spicchiati du voti, amu a ddiri “Signuri Ti Ringraziu”!
Ingredienti per quattro persone
il macco:
due belle manciate di fave secche sgusciate;
una cipolla di media grandezza;
due pomodori pelati;
olio q.b.;
sale;
pepe;
la minestra:
¼ di Kg di pasta o spaghetto spezzettato, o ‘ntuppateddi, o quadrucci fatti in casa;
due giummi di borragine
olio q.b.;
sale
pepe.

Preparazione del macco:
mettere le fave in acqua per dodici ore circa. Passate le dodici ore, mettere in tegame le fave, la cipolla a pezzetti piccoli, l’olio, il sale e il pepe, ricoprire d’acqua e passare sul fuoco, dopo circa 15 minuti aggiungere il pomodoro tagliato a pezzetti (pericolo! Se il pomodoro va aggiunto prima, il rischio è che le fave si azzimmano)! Appena su cotti si cci astuta!
La pasta:
mettere ‘ncapu u focu l’acqua per la pasta, appena bolle calare la borragine aggiungendo il sale, dopo pochi minuti mettere da parte un poco di acqua di cottura della verdura e calare la pasta, quando la pasta è quasi cotta aggiungere il macco, l’olio e portare a termine la cottura, se in cottura la minestra, asciuga troppo aggiungere un po’ di acqua messa da parte.
Chi vuole può aggiungere olio a crudo.

È una minestra molto suadente e per gusto e per consistenza!

(Antonella Gullo)

giovedì 13 marzo 2008

Spitineddi Arrustuti ‘nta braci!



E Ecco! È quasi primavera
e…
e su di me e la mia famiglia prevale il richiamo ancestrale “du sciavuru di…”
Spitineddi Arrustuti ‘nta braci!
Richiamo prosaico, ma non per questo meno seducente!
Così la domenica, se il tempo lo permette, prima si va dal macellaio di fiducia, ad acquistare gli ingredienti necessari e poi si va in campagna.
Ovviamente è mio padre che sovrintende all’acquisto della carne “a voli tennera, chi ssi ci avi a squagghairi ‘nvucca”. Appena arrivati, guarda negli occhi il macellaio e quasi come se fosse un segreto gli sussurra: - me ddari anticchia i carni pi fari du spitini! Il macellaio gli fa notare che quelli esposti nel suo banco, sono molto freschi. La risposta di mio padre è perentoria:
- Chiddi ti manci tu! Io vogghiu a parti da pampinedda. (la “pampinedda” è un piccolo tocco di carne che si trova nella spalla dell’animale) e poi mi l’è cunzari o miu piaciri!
Armato di santa pacenzia, il macellaio prende il tocco di carne richiesta, non arriva neanche a sfiorare la carne con il coltello che si sente intimare: Ti pari a tia ma tagghi di traversu!
Picciotto pacinsiusu è il macellaio, si fa na risatedda e continua o so travagghiu!
Raggiunto l’obiettivo primario, si procede al reperimento degli ingredienti secondari e si va in campagna, luogo dove ci si spoglia dagli abiti abituali, ci si infila in comode tute, si calzano scarpe adatte a calcare la zolla e prima di iniziare a preparare la nostra delizia, ci si sparpaglia: chi va a raccogliere verdure spontanee, chi raccoglie sciuri di Sanciuseppe, chi si dedica ai gatti e chi come mio padre, s’assetta fora a fare parole crociate, si mette o latu una cannuzza pi fari scantari i atti e un falli trasiri dintra!
Recuperato il rapporto con la natura, si prepara la brace, che sarebbe cosa di masculi ma io e mia sorella, non troviamo nessuna difficoltà a preparare u focu: ci serviamo di una vecchia carriola nella quale impostiamo i zucca d’alivi, cocchi cannuzza bella asciutta e anticchia di carta. Sutta si mettono i ligna chiù grossi e ncapu chiddi chiù sicchi avendo cura di lasciare degli interstizi che permettono il passaggio dell’aria, altrimenti u focu s’accupa e addiu ti dissi.
Intanto che mia sorella con amore e dovizia di particolari inizia l’operazione, mio padre osserva con disgusto, disapprovando ogni minimo dettaglio, picchì iddu u sapi fari megghiu! E siccome non ha più le forze, scoraggiato gira le spalle, alza le braccia al cielo, rotea le mani e si allontana dicendo qualcosa del tipo: è megghiu ca un taliu, picchì a vidiri i cosi fatti a malu versu mi fannu annirbari”! E se per caso si accorge che per addumare il fuoco stiamo usando qualche vecchia settimana enigmistica! Apriti cielo! Prima doveva verificare se c’era ancora qualche schema di parole crociate crittografate da definire e poi forse, poteva essere utilizzata allo scopo di cui sopra! Con la cultura non si babbia! Mica ci si può dare fuoco così facilmente! Neanche se fossimo i personaggi di Fahrenheit 451!
Ma insomma, appirimentata la brace e superata la crisi di famiglia, mia madre Vestale dalle mani d’amianto, capaci di pigghiari i cocci di carbuni addumati a manu nudi, resta a governare u focu e man manu chi a ligna squagghia, cogghie u carbuni pi arrustiri i spitini! Quello che resta del carbone viene spento e conservato per usarlo successivamente.
Adesso prepariamo i nostri spiedini.
Ingredienti per 4 stecche di spiedini
il ripieno:
200 gr circa di pangrattato piuttosto umido
4 cucchiai di cacio cavallo grattugiato
100 gr circa di caciocavallo tenero
100 gr di pancetta
una manciata di uva passa e pinoli
un mazzetto di prezzemolo
olio a piacere
inoltre
16 piccole fette di carne tagliate finemente
una cipolla bella grossa
foglie di alloro q.b.
olio
pangrattato per impanare q.b.

Mettere in una ciotola il pangrattato umido, il caciocavallo grattugiato, l’uva passa e i pinoli precedentemente ammollati in acqua tiepida, i restanti ingredienti tagliati in piccolissimi pezzi e amalgamare il tutto aggiungendo l’olio di oliva.
Disporre le fettine di carne su di un piano di lavoro, mettere per ognuna un po’ di ripieno, avvolgere la carne in bocconcini, infilzarla nelle apposite stecche di legno alternando una foglia di alloro, uno spicchietto di cipolla, un bocconcino e così via.
Passare la stecca in olio abbondante, poi nel pangrattato, mettere sulla brace e lasciare cuocere lentamente avendo cura di girare spesso la carne.
Ecco! È quasi primavera

(Antonella Gullo)

mercoledì 5 marzo 2008

la frittata con gli asparagi selvatici


Ingredienti per 4 persone
5 uova;
un mazzetto di asparagi selvatici;
sale;
pepe;
olio extravergine di olive per friggere.

Di tanto in tanto capita di sentirmi investita da spirito romantico e bucolico, e insieme a mia sorella, vado in giro per il territorio a raccogliere asparagi, la cui raccolta è una vera e propria guerra, una lotta perigliosa, contro i puledrini che curiosi ci vengono ad annusare, oppure contro i ramarri che “scantusi” li vedi sgattaiolare dal nulla, ma soprattutto una lotta contro le “ruette” che come guerrieri difendono il tenero virgulto, il vero imperatore delle frittate!
I ruette su chini di spine chi ti punciunu sulu a taliarle e il loro compito è proteggere l’asparago da occhi indiscreti!
Ma noi moderne Amazzoni ardimentose, con occhio allenato, armate di stivaloni di gomma e coltelli ben affilati, non esitiamo ad abbattere la “ruetta”, con una pedata ferma e decisa, attente a non ferire la creatura, che viene delicatamente recisa, e riposta “nto panaru” intrecciato abilmente ed amorevolmente dalle mani di mio padre.
“T’annu” ci sentiamo soddisfatte quando “assumma un pugniddu di sparaci pi fari na frittatedda di quattro ova”.
Sofferenti, scantate, sudaticce, le mani sanguinanti per le spine, i peri, con rispetto parlando, unci e col sudato Trofeo conquistato a suon di calci, torniamo a casa, certe di trovare approvazione dai vegliardi! Ma quannu mai! Idda, mia matre, con tono aspro e sferzante ni talia cu l’occhi di fora e ni rici: : - e l’ova unni su?
Io e mia sorella ni taliamu strammiate nta facci comu pi ddiri: - ma l’ova crisciunu puru ‘nmenzu i ruette? Ma non esterniamo il dubbio a scanso di eventuali recriminazioni!
In realtà le uova ci sono, e sono ben conservate in frigo ma sono quelle con la data di scadenza stampigliata nel guscio e non vanno bene! A da cristiana ci pari vriogna fare a frittata di sparaci frischi, cu sti ova! Su ova fasulli!
L’ova, pi fari sti cosi s’hannu a ghiri a pigghiari dda sutta, o cannulicchiu, ni chidda chi i vinni appena fatte!

Preparazione
Spezzare gli asparagi in piccoli segmenti di circa un centimetro, lavarli delicatamente in abbondante acqua, colarli e metterli nella padella, lasciare che essi asciughino a fuoco moderato, quando il residuo d’acqua sarà completamente asciugato, aggiungere l’olio.
Appena l’olio è ben caldo, prima che gli asparagi cominciano a cuocere, mettere l’uovo battuto con un po’ di sale e un po’ di pepe
Lasciare cuocere da una parte e dall’altra.

La buonarmuzza, quannu facia a frittata chi sparaci, prima sbattia u biancu a neve, e poi aggiungeva i russi c’anticchia di sali e anticchia di spiezie, amalgamava il tutto e metteva in padella.
Grazie a questo procedimento la frittata viene soffice soffice!

(Antonella Gullo)